Sinisa Mihajlovic, chi era: lo scudetto alla Lazio, il passato alla Roma. Con Eriksson nuovo ruolo e svolta

Nel successo biancoceleste (5-2 sulla Sampdoria) del 13 dicembre 1998 stabilisce il record di una tripletta tutta da calcio piazzato

Siniša Mihajlović, il sergente specialista dei calci di punzione

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Sinisa Mihajlovic ha ottenuto tanto da Vujadin Boskov e, forse, tutto da Sven Goran Eriksson. Il primo lo ha portato a Roma dopo aver giocato e vinto con la Stella Rossa di Belgrado; il secondo lo ha trasformato in quello splendido difensore centrale che abbiamo poi ammirato per tanti anni, prima alla Sampdoria e poi sempre nella Capitale, ma sulla sponda Lazio. Mihajlovic quando è arrivato era poco più di un ragazzino, era il ‘92 e lui aveva solo 23 anni, capelli folti, camicie colorate, sorrisi e una grande voglia di stupire, ma il primo passo non è stato troppo lungo qui nella Capitale.

QUEL LEGAME CON TOTTI

In giallorosso dura poco, specie per questioni tattiche: il grave infortunio di Carboni lo costrinse a fare il terzino e non aveva il passo (un ruolo che non gli piaceva nemmeno quando giocava in Jugoslavia). Nella Roma ha messo un timbro indelebile, però: a Brescia, fu lui a suggerire a Boskov di fare entrare un ragazzino di belle speranze. Quel ragazzino era Francesco Totti. Lascia la maglia giallorossa dopo 54 partite e 1 gol, contro il Brescia, con una rete anche in Coppa Uefa contro il Borussia Dortmund, e 5 in Coppa Italia, di cui una nella finale persa con il Torino nel 1993.

LA SAMP E LA LAZIO

Il meglio di sé - senza dubbio - lo ha dato dalla Sampdoria in poi. Eriksson ebbe l’intuizione di arretrarlo al centro della difesa. Con quel calcio lungo, con quel fare da leader, era quella la posizione per la gloria: poca corsa, scarsa velocità ma un senso della posizione impressionante. Sinisa ha costruito in biancoceleste i suoi successi. Dalla Samp alla Lazio, sempre con l’amato Sven. Lazio, il palcoscenico di successi, Roma la sua città dell’amore, qui ha conosciuto Arianna e qui sono cresciuti i suoi cinque figli, Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nicholas. Qui ha vinto. Nel 1999 sigla il primo gol della storia della Lazio in Champions, in casa del Bayer Leverkusen, su punizione. Addirittura, in campionato, stabilisce il record: ne fa tre gol su altrettanti calci piazzati, contro la sua Sampdoria il 13 dicembre 1998. Lascia la Lazio dopo sei stagioni (193 partite e 33 gol), portando via uno scudetto (2000), due Supercoppe Italiane (1998 e 2000), una Supercoppa europea (1999), una Coppa delle Coppe (1999) e due Coppe Italia (2000 e 2004). Dal 2004 al 2006 passa all’Inter del suo amico Roberto Mancini, lì diventa il goleador più anziano in A, a 37 anni. 

 

 

GLI INIZI IN JUGOSLAVIA

Vince anche in nerazzurro, 2 Coppe Italia (suo il gol contro la Roma nella finale di ritorno) e uno scudetto, non sul campo, ma assegnato a tavolino per la vicenda Calciopoli. La sua carriera è cominciata nella ex Jugoslavia. Il suo esordio è di quelli da predestinato: è il 1986 e si gioca a Belisce, lui ha la maglia del Borovo; Mihajlovic viene schierato come esterno sinistro di centrocampo, il ruolo che gli aveva regalato inizialmente Boskov nella Roma, ed è proprio il suo sinistro, guarda caso su punizione, a decidere il match. Da lì, una continua ascesa. Nel 1987 arriva il titolo Mondiale Under 20 con la maglia della sua nazionale, poi ruba l’occhio a tanti osservatori durante un torneo in Germania e viene premiato dal Vojvodina, con cui vince il titolo della Prva Liga, superando colossi come Stella Rossa, Hajduk Spalato e Dinamo Zagabria. Sinisa rimane un’altra stagione col Vojvodina per assaporare l’ebbrezza della sua prima partecipazione alla Coppa dei Campioni che vincerà nel ‘91 con la maglia della Stella Rossa, a Bari con il Marsiglia, segnando una delle reti decisive dal dischetto dopo i supplementari. Con i biancorossi vinse pure due campionati e l’Intercontinentale, prima che in Jugoslavia scoppiasse la guerra, che lo ha costretto a trovare nuove vie di speranza altrove. In Italia ha vinto; in Italia ha perso la sua guerra. Quella più importante.
Alessandro Angeloni

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Il Mattino