Beni confiscati alle mafie, ecco perché serve un salto politico

Beni confiscati alle mafie, ecco perché serve un salto politico
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Nei giorni scorsi la presentazione di un volume promosso dalla Fondazione Polis – Politiche integrate di sicurezza, a cura di Vittorio Martone, Carocci Editore - ha costituito l’occasione per un confronto sul tema dei beni confiscati alle mafie. Un tema, a mio avviso, fortemente sottovalutato a livello politico-istituzionale e del quale si occupano, con risultati parziali, solo gli “addetti ai lavori”, tra i quali la Fondazione Con il Sud che, in questi anni, ha sostenuto oltre 100 progetti di valorizzazione di beni confiscati. La questione è invece molto rilevante per diversi motivi: il primo è che la legislazione che regola la materia, legislazione che, è bene ricordarlo, è certamente la più avanzata al mondo, andrebbe radicalmente aggiornata per quanto riguarda i criteri di assegnazione e la gestione dei beni. I beni confiscati sono oltre 30 mila: quelli utilizzati poche migliaia. Quelli abbandonati o non utilizzati, ancorché assegnati, la stragrande maggioranza. Il secondo motivo è che, nei territori, la confisca di beni alle mafie rappresenta l’espressione della forza dello Stato e del prevalere della legalità; ma se quei beni non vengono utilizzati il consenso verso la Stato diventa progressivamente dissenso e qualcuno rimpiange i tempi in cui quei beni o quelle aziende erano in vita.


Il terzo motivo è che la dimensione dei patrimoni mobili ed immobili confiscati alle mafie è di tali dimensioni da rappresentare oggettivamente una straordinaria leva di sviluppo e di occupazione, se ben gestito. Ed è questo il vero punto: bisogna convincersi che la questione dei beni confiscati non può essere più solo una questione di affermazione della legalità; non può essere solo vissuta attraverso eventi simbolici. Questi sono importantissimi e vanno moltiplicati. Ma bisogna fare un salto politico: la vittoria sulle mafie si ha attraverso la confisca dei loro beni ma anche utilizzandoli per favorire sui territori sviluppo ed occupazione. Stare contro le mafie non solo è giusto, ma conviene. Di questo dobbiamo convincere tutti, anche quelli che sono costretti a scegliere tra legalità e lavoro. Negli ultimi anni vi sono stati interventi legislativi in materia, come il Codice antimafia: ma occorre fare molto di più. Occorre rafforzare l’Agenzia per i beni confiscati e valutare la possibilità di trasformala in un Ente pubblico economico con competenza sui beni confiscati, sulle aziende confiscate, sulle risorse finanziarie confiscate. E con risorse professionali adeguate in termini quantitativi e qualitativi. Occorre favorire il più possibile la valorizzazione dei beni, dando priorità agli Enti non profit, ma non escludendo, a determinate condizioni, l’utilizzo da parte di imprese private. Occorre che una parte delle risorse finanziarie confiscate che confluiscono tutte nel FUG (Fondo Unico di Giustizia) siano utilizzate per favorire lo start-up delle iniziative che valorizzano i beni confiscati.


Nei prossimi giorni l’Agenzia per i Beni Confiscati pubblicherà un Bando per assegnare direttamente a soggetti del Terzo settore 1000 beni confiscati. E’ un’iniziativa intelligente ed innovativa di cui va dato atto al Prefetto Frattasi, Direttore dell’Agenzia. Ed è soprattutto l’occasione per riprendere con forza e con una certa radicalità il dibattito sulla riforma del settore. Se non ora quando?

* presidente Fondazione Con il Sud Leggi l'articolo completo su
Il Mattino