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Sono trascorsi 30 anni da quella tragica mattina del 19 marzo del 1994 quando il mio caro fratello, don Peppe, è stato ucciso per mano della camorra. Trenta anni di sofferenza, dolore e rabbia, ma anche di orgoglio per l'eredità che ha lasciato con il suo sangue versato. Don Peppe era un sacerdote e un uomo dotato di mille virtù che nella sua spontaneità e genuinità annunciava i messaggi di verità, giustizia e fede contenuti nel Vangelo. Si preoccupava dei più deboli e soprattutto dei giovani del nostro territorio, dove negli anni Ottanta e Novanta, prevaleva una cultura e un mentalità camorrista. I giovani erano ad alto rischio. Organizzava per loro tante attività in oratorio e non solo, per tenerli lontano dalla strada. Con la sua morte si è avuto uno stravolgimento nel modo di fare e agire dei giovani, oggi sono liberi di uscire e di dire le proprie idee senza ostacoli e repressioni. Posso affermare, e lo dico con un dolore che mi trafigge il cuore, che si è avuta una grande rinascita. Il seme che mio fratello ha gettato è fiorito ed ha dato tanti frutti. Questo anche grazie all'opera di chi ha resistito nonostante le criticità, si è rimboccato le maniche ed ha portato avanti i valori e i principi in cui egli credeva. Posso dire con orgoglio e fierezza che oggi le terre di camorra sono diventate le terre di don Peppe Diana e che si respira un'aria diversa. Ma a me manca tanto, soprattutto nei momenti più belli e anche più difficili della mia vita.
Non posso fare altro che pensarlo nell'Alto dei Cieli tra le braccia dei miei genitori.
* sorella di don Giuseppe Diana, vittima innocente della camorra
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