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Anche l’Italia invierà armi pesanti all’Ucraina, probabilmente missili anti-navi e carri antiaerei. Mario Draghi e il ministro della Difesa Lorenzo Guerini risponderanno insomma “presenti” all’appello lanciato ieri dalla base americana di Ramstein in Germania dal capo del Pentagono Lloyd Austin. Del resto, come dimostra la resa del cancelliere tedesco Olaf Scholz costretto a inviare 50 tank Gepard dopo un’iniziale riluttanza, questo non è il tempo per i distinguo. Tanto meno a pochi giorni dalla missione a Washington di Draghi che sarà ricevuto alla Casa Bianca da Joe Biden tra il 10 e il 12 maggio.
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In queste ore, sotto la regia di Guerini che ha partecipato al vertice di Ramstein dove ha garantito che «l’Italia continuerà a fare la propria parte sostenendo l’Ucraina per tutto il tempo necessario», è in via di ultimazione un nuovo decreto interministeriale (su cui il ministro della Difesa riferirà domani al Copasir, il comitato sui Servizi segreti). Un provvedimento redatto «sulla falsariga del precedente decreto», spiegano fonti di governo, per l’invio in Ucraina «di sistemi di difesa contraerea e controcarro, mortai e munizionamento vario di calibri diversi». Poi, sulla base delle richieste avanzate da Austin, che in un colpo solo ha bypassato e allargato la Nato, «nelle prossime ore» il governo deciderà «ulteriori invii» di armamenti. Per i quali, «dopo la presa d’atto delle esigenze ucraine», si stanno già facendo «tutti gli approfondimenti tecnici». E questo in vista del varo, che verrà deciso da Draghi assieme a Guerini e al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, di un terzo decreto interministeriale (non sarà necessario passare per un voto del Consiglio dei ministri) per la spedizione in Ucraina degli «armamenti pesanti», il cui elenco verrà secretato.
Con due problemi.
LA SPINTA DIPLOMATICA
Eppure, a differenza di Stati Uniti e Gran Bretagna, l’Italia con il ministro Di Maio - che lavora «su indicazioni dirette di Draghi» - non si arrende all’ineluttabilità di un conflitto che potrebbe essere lungo e oltrepassare i confini ucraini, come è tornata a minacciare Mosca parlando «di Terza Guerra mondiale». E tantomeno Roma pensa, come hanno invece fatto capire gli americani, di poter puntare sulla sconfitta di Putin. L’imperativo di Draghi, oltre a rafforzare la resistenza ucraina, resta la «ripresa della strada diplomatica per raggiungere la pace». Ragioni per le quali gli italiani hanno spinto per la visita di ieri a Mosca del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che però si è rivelata un flop. E tifano per l’azione di mediazione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che, nelle stesse ore, ha telefonato a Vladimir Putin per invitarlo a celebrare un vertice con il presidente ucraino Zelensky. Il tutto, però, senza in alcun modo voler incrinare «la compattezza del fronte occidentale», come garantiscono alte fonti di governo. Ciò detto, Draghi sta lavorando a un viaggio a Kiev nei prossimi giorni. E Di Maio è impegnato a tessere i contatti con Ankara: a giorni dovrebbe essere celebrato un incontro con l’omologo turco Mevlut Cavusoglu.
«L’Italia», dicono altre fonti qualificate di governo, «sta lavorando alla pace. E se non si può dire di “no” all’invio di armi pesanti perché non abbiamo intenzione di rompere la compattezza del fronte occidentale, il processo negoziale deve assolutamente ripartire: non ci si può arrendere alla guerra». Da qui la speranza di Draghi che con il ritorno sulla scena internazionale del francese Emmanuel Macron (appena riconfermato presidente) e con il sostegno di Scholz, si possa quanto prima superare «l’immobilismo» a livello di negoziati. Imbandendo quelli che alla Farnesina chiamano «tavoli paralleli». Uno tra Russia, Ucraina e Onu, proposto ieri da Guterres a Putin per il cessate il fuoco e i corridoi umanitari. Un altro tavolo tra Mosca, Kiev e i “Paesi garanti”. Vale a dire: Turchia, Italia, Germania, Francia, Canada. In questa sede, secondo lo schema caro a Roma, dovrebbe essere definito l’equilibrio e le garanzie per la pace. Ma per ora a parlare sono le armi.
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Il Mattino