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Adesso che si avvicina il momento della verità, ora che Giuseppe Conte e Matteo Renzi sono a un passo dallo show down e la crisi è di fatto aperta, una sola cosa è sicura: a dispetto del tentativo del premier di arruolare in Senato una pattuglia di “responsabili” con cui rendere irrilevanti i voti dei renziani, questa strada non appare percorribile. Non piace ai 5Stelle che non ne vogliono sapere di «unioni contronatura» con i fuoriusciti berlusconiani, fa venire l’orticaria al Pd che ritiene «ingestibile» una «maggioranza raccogliticcia». Ed è sgradita al Quirinale: per la realizzazione del Recovery Plan, che dovrà garantire la «rinascita» del Paese, Sergio Mattarella vuole un governo in grado di decidere e non ostaggio di transfughi bizzosi e inaffidabili.
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Ciò non vuol dire che Conte, ormai costretto a rinunciare a sfidare Renzi in Parlamento, sia destinato ad eclissarsi. Anzi. Lo schema del segretario del Pd Nicola Zingaretti, ma anche di Dario Franceschini, resta quello di sempre: «Se cade questo governo si va a elezioni». Spiegazione di un ministro dem: «Renzi continua a offrirci palazzo Chigi, ma è un’ipotesi irrealizzabile. Noi non vogliamo diventare suoi ostaggi e i 5Stelle non intendono rinunciare a Conte, che è la pietra angolare su cui fondare il loro futuro alle elezioni. In più, proprio in forza dell’appeal che Conte ha nell’opinione pubblica, a questo punto i grillini hanno meno paura del voto anticipato. Lo stesso vale per noi: se va male prenderemmo il 25%, inoltre andremmo alle elezioni tra marzo e aprile quando avremo salvato il Paese dalla pandemia e, alleati dei 5Stelle guidati da Conte, non è affatto detto che perderemmo contro Salvini e Meloni: i voti di questa destra, che non riesce a sfondare al centro, si sovrappongono». Scartata l’ipotesi dei “responsabili” (tra l’altro tutti gli interessati sono corsi a smentire) e messa sul tavolo l’opzione elettorale che anche Mattarella considera probabile se saltasse il quadro, c’è da dire che nessuno dei giallorossi (Renzi in primis) punta sul voto anticipato. L’ipotesi più concreta è che Conte e Renzi, ormai nemici giurati, siano destinati a coabitare. Come? Di opzioni ce ne sono ben tre.
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Le tre opzioni
La prima, la più gradita a Conte, è quella del «rimpastino» perché evita il rischio-dimissioni. Con queste tappe: domani il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri depositerà la nuova bozza del Recovery Plan, rivista e corretta con parte dei desiderata renziani. E sempre domani, se non martedì, verrà celebrato il vertice dei capidelegazione. Poi, sempre martedì o forse giovedì, si terrà il Consiglio dei ministri chiamato a varare il piano con cui spendere i 209 miliardi targati Bruxelles. Se Italia Viva non romperà, Conte procederà a «qualche ricambio» nella squadra di governo: potrebbe entrare un nuovo esponente di Italia Viva (si fa il nome di Ettore Rosato). «Ma per Renzi sarebbe troppo poco: prima vuole aprire la crisi e poi discutere...», dice un altro ministro dem. Si arriva così alla seconda opzione, la più probabile: la nascita de Conte-ter. È caldeggiata dal Pd, è accettabile per i 5Stelle e rappresenterebbe un successo per il leader di Italia Viva. «Matteo chiede discontinuità e l’avrebbe ottenuta», dice un suo fedelissimo. Che aggiunge: «Dovranno però essere sciolti, almeno in parte, anche i nodi della delega ai Servizi e del Mes».
Ecco perché, premessa indispensabile del Conte-ter, è un «pubblico e forte accordo politico».
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