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Non siamo più da almeno un secolo un Paese agricolo. Già prima della Seconda Guerra mondiale l’incidenza del settore primario sulla ricchezza complessiva prodotta in Italia era inferiore a quella dell’industria anche se il numero dei lavoratori dei campi, spinto soprattutto dal Sud, aveva ancora il primato assoluto tra gli occupati. In pieno boom economico, negli anni Sessanta, valeva solo il 4,6% del Pil e percentuali più o meno analoghe si registravano quasi in tutta Europa.
Una tendenza inequivocabile, forse persino inesorabile: ma oggi che la protesta dei trattori l’ha così clamorosamente riportata alla ribalta, si può sempre sostenere che il peso dell’agricoltura in un’economia moderna e sempre più digitalizzata sia destinato a diventare sempre più marginale? Proviamo a rispondere con i numeri: nel 2022 il comparto ha fatto segnare un Pil di 41,7 miliardi di euro, in calo di quasi 2 punti percentuali rispetto all’anno precedente, con circa un milione e 200mila lavoratori. La quota sul Pil totale è scesa al 2,2% (dal 2,3% del 2021), meno della metà di quello garantito dalle costruzioni per usare un termine di paragone: ma se si considera il peso complessivo del sistema agroalimentare, dall’agricoltura cioè alla ristorazione, si sale al 15% del Prodotto interno lordo nazionale, per un valore di oltre 522 miliardi di euro (dati Crea 2022). E, al tempo stesso, si capisce perché l’Italia, pur avendo ceduto il secondo posto alla Francia, è ben salda sul podio europeo per produzione agricola nonostante i colpi durissimi inferti dal cambiamento climatico (nei primi dieci mesi del 2023, ricorda Legambiente, sono stati ben 41 gli eventi meteorologici estremi, una media di 4 al mese) e dall’inflazione, non meno pesanti.
Non a caso i dati sull’export relativi al 2022 hanno il sapore del record: con un aumento del 17% sono stati superati i 60 miliardi di euro di valore, con vino, pasta e ortofrutta fresca in evidenza (senza dimenticare le performance di prodotti come la mozzarella di bufala campana dop, +30% nel 2022). Il bicchiere mezzo pieno è altresì corroborato dalla continua crescita dell’innovazione tecnologica nel settore, considerata sempre di più una scelta obbligata per mantenere margini di competitività soddisfacenti. Il mercato dell’Agricoltura 4.0 in Italia nel 2022 è salito del 31% rispetto al 2021, raggiungendo un valore di 2,1 miliardi di euro anche se la superficie coltivata con soluzioni smart resta molto bassa, appena l’8% del totale (era due punti sotto l’anno precedente).
Ma c’è anche il rovescio della medaglia. E tutt’altro che trascurabile. Perché da alcuni anni, sottolinea Stefano Vaccari, Direttore generale del Crea (l’ente di ricerca sulle filiere agroalimentari vigilato dal ministero delle Politiche agricole), «stiamo producendo mediamente il 10 per cento in meno di quello che producevamo venti anni fa, con buona pace di progresso tecnologico e sostegno pubblico”.
È cresciuta invece l’occupazione nell’industria alimentare (+3,1%) e la cosa ha potuto compensare (-0,7%) il dato complessivo del sistema. In altre parole, nonostante la contrazione progressiva dell’input di lavoro nel corso degli anni, l’agroalimentare italiano rimane ancora un settore strategico anche dal punto di vista occupazionale, con 1,6 milioni di occupati nel 2022, pari al 7% del totale Italia, sebbene certi scricchiolii nei distretti del Sud, in particolare, come documentato dai report di Intesa Sanpaolo, non promettono molto di buono.
Diventa perciò decisiva la capacità di tutelarne le tante, riconosciute eccellenze mondiali e incoraggiare l’interesse dei giovani, in crescita ma non ancora sostenuta. Al netto delle politiche europee di settore, Il Pnrr è uno degli strumenti decisivi considerato che le risorse “dirette” al solo settore agricolo ammontano a circa 7 miliardi di euro ma sono molte di più quelle che arrivano in maniera trasversale da altre missioni, nell’ambito della transizione green, ad esempio. La risposta al bando del “Parco Agrisolare”, previsto dal Piano di ripresa e resilienza, con un overbooking di progetti presentati, ben 18mila per una richiesta di finanziamenti superiore ai 2 miliardi (al punto che la misura è stata rafforzata con altri 852 milioni di euro, passando così da 1,5 a 2,3 miliardi di euro) è un ottimo segnale. E conferma che il futuro passa inevitabilmente per innovazione e sostenibilità, parole che risuonano da tempo in ogni sito produttivo ma che nei campi, come visto, finiscono per diventare ancora più urgenti.
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