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Prima di finire in cella per aver massacrato Alessandra Matteuzzi, 56 anni, perseguitata per mesi e uccisa con venti martellate sotto casa, Giovanni Padovani aveva 270 seguaci su Instagram. Oggi sono 1.250, il numero continua a crescere. E spesso nei messaggi c’è uno sconvolgente ribaltamento dei ruoli: l’assassino che diventa vittima, la donna morta «una che se l’è andata a cercare». Insulti a lei, giustificazioni per lui che ha lasciato in fretta e furia il ritiro della Sancataldese per andare a ucciderla. Il post di una ragazza è la sintesi: «Lui 27 anni, calciatore, modello bello come il sole. Lei 60 anni, narcisista, lo ha traviato e usato in tutti i modi, se l’è fatto fino al giorno prima della sua morte per poi sparire come sempre».
Istigazione alla violenza
Per messaggi come questo la famiglia di Alessandra a inizio ottobre aveva già denunciato 25 persone, a novembre se ne sono aggiunte altre e ora sono in arrivo nuove querele. «Monitoriamo i social ogni giorno - spiega l’avvocato Chiara Rinaldi - Gli hater sono diventati più subdoli, raffinati. Dopo i commenti di insulti alla vittima, adesso giustificano Giovanni Padovani e attribuiscono a lei comportamenti che avrebbero portato l’uomo a impazzire. Un conto è la libertà di espressione, ma qui potrebbe configurarsi il reato di istigazione alla violenza di genere». L’autore di uno dei primi post segnalati ha nome e cognome e ricopriva anche un ruolo sensibile, direttore regionale della Croce Bianca (poi sospeso). Dopo l’omicidio commentava su Facebook: «Comunque anche lei come andava conciata, ovvio che il ragazzo era geloso». Rispondendo a chi si indignava per le sue parole: «Comportatevi più sobriamente come le nostre nonne, non siate scostumate e provocanti e gran parte delle aggressioni saranno evitate, la colpa prima di tutto è del mondo di oggi totalmente fuori controllo, la donna fa l’uomo e viceversa, ma dove siamo arrivati?».
Non è il solo, purtroppo, a pensarla così: «Ne conosco di donne simili a lei che arrivano a usarti come uno zerbino finché non sprofondi nella m...a e loro godono, in questo però lui ha pensato bene di farle capire che ci vuole rispetto, purtroppo per lui è andato oltre e adesso si è rovinato la vita».
La lettera rubata
Due settimane fa, nel parco poco distante a casa sua, è stata dedicata alla vittima una panchina rossa, simbolo della violenza contro le donne. La sorella Stefania ha portato un mazzo di fiori e un biglietto: «Alessandra, la tua storia fa rumore, resterai sempre nei nostri cuori». Rubati entrambi, un altro gesto di sfregio alla sua memoria come le frasi degli odiatori arrivate per l’occasione: insofferenti verso la donna, comprensive nei confronti del killer. «Due vite rovinate», una delle considerazioni via social. Tutto rimosso, ma l’avvocato Chiara Rinaldi ha rintracciato i post uno per uno e sta aspettando gli screenshot per consegnarli agli investigatori. Padovani è stato arrestato lo scorso 23 agosto, a settembre la difesa ha rinunciato a presentare la richiesta di attenuazione di misura cautelare al Tribunale del Riesame già respinta da gip per «l’eccezionale pericolosità e assoluta incontrollabilità o prevedibilità delle azioni». Non ha mai scritto alla famiglia di Alessandra né ha cercato di mettersi in contatto tramite l’avvocato. Che, dopo averlo visto nel in aula, lo descrive così: «Un uomo sereno, tranquillo, educatissimo, gentile e collaborativo, ha partecipato attivamente all’udienza. Soprattutto, mi è sembrata una persona risolta. Secondo me si rende conto di quello che ha fatto e ho l’impressione che lui sia felice di avere portato a termine il proprio compito».
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Il Mattino