«Ho perso i nonni nel sisma dell'80, ora spalo il fango in Emilia Romagna»

Francesco Custode, originario del Salernitano: «Durante il terremoto i volontari mi sembravano angeli»

Francesco Custode
L’emergenza chiama, Francesco Custode risponde. Perché dove ci sono fango e famiglie senza più un tetto c’è sempre quel senso di frustrazione che...

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L’emergenza chiama, Francesco Custode risponde. Perché dove ci sono fango e famiglie senza più un tetto c’è sempre quel senso di frustrazione che Francesco conosce bene. «Nei giorni del terremoto dell’Ottanta – spiega – io vivevo a Castelnuovo, un paese del salernitano che fu epicentro di quella tragedia».

In poche ore, un ragazzino di tredici anni vide la sua esistenza sconvolta dall’imprevedibile: la sua casa non c’era più, ed in quella tragedia la sua famiglia contò sette morti tra cui i suoi nonni. «Per anni – racconta – abbiamo vissuto in una roulotte e solo quando mi sono laureato in architettura i miei genitori sono riusciti a tornare in una casa vera, che avevo progettato io». 

Inevitabile allora il tuffo al cuore quando il telegiornale ha trasmesso le prime immagini del fango che devastava l’Emilia Romagna. A 56 anni compiuti, Francesco ha rivissuto le emozioni di quei giorni e non ha resistito: dopo poche ore, insieme ad un amico originario della Puglia, era lì a spalare. «Dal 2018 – spiega – mi sono trasferito a Cremona per assecondare mio figlio che voleva studiare qui musicologia. Ma solo in questa occasione ho capito lo spirito dei romagnoli, capaci di grande solidarietà». Dopo aver individuato su internet i siti presso cui prestare soccorso Francesco è corso quindi a Faenza, e lì si è fatto indicare dove dare una mano: ovunque c’era una cantina da svuotare. 

Argilla pura mischiata a chissà quale materiale, che si appiccicava alle pale rendendo difficoltoso l’utilizzo delle stesse, motivo per cui si finiva a scavare con le mani. «Per dare un’idea – commenta l’architetto – basti pensare che siamo rimasti una giornata a scavare in un una sola casa dove rimuovevamo fango dal seminterrato. Il bello è stato che solo alla fine ho capito chi fosse il proprietario, tanto eravamo tutti preoccupati. Mi resteranno negli occhi le immagini delle famiglie che arrivavano con succhi di frutta ed acqua per noi volontari, un momento bello per l’Italia che ha dimostrato una capacità di mettersi a disposizione che non è scontata. E poi, si parla tanto male dei giovani ma non è vero: ce n’erano tanti, tantissimi».

Ricordi indelebili ed un forte senso di appagamento, ma nessun segno di stanchezza nonostante le ore di lavoro: «È stato bello – conclude – e del resto sento di star ricambiando quanto ho ricevuto negli anni del terremoto da quei volontari che mi sembravano angeli. Ogni volta che c’è un’emergenza io mi sento in prima linea. Perché so cosa significa non poter entrare più in casa».

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Il Mattino