Asili nido, 45mila posti di troppo: ecco i perché dei bandi flop

Il ministro Fitto potrebbe concordare con l'Ue una ridefinizione del piano che preveda di depennare i progetti sovradimensionati e a rischio

Il ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara
La svolta sugli asili nido è uno dei fiori all'occhiello del Pnrr. Ma la scadenza del 30 giugno 2023 per l'avvio dei lavori non sarà rispettata, con il...

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La svolta sugli asili nido è uno dei fiori all'occhiello del Pnrr. Ma la scadenza del 30 giugno 2023 per l'avvio dei lavori non sarà rispettata, con il pericolo di mettere in forse l'intero progetto. Una correzione in corsa è ancora possibile, purché siano chiari i clamorosi errori commessi negli ultimi due anni, ben sette. Eccoli.

Sugli asili nido non si partiva da zero. Quando il governo il 30 aprile 2021 ha presentato il Pnrr si sapeva esattamente, comune per comune, quanti posti mancavano per l'obiettivo del 33%, fissato a livello europeo addirittura dal 2002, da raggiungere entro il 2010. E quel numero è 143.212, di cui il 64% nel Mezzogiorno. Il calcolo lo ha fatto la Sose, società pubblica del ministero dell'Economia e della Banca d'Italia. Ma il governo non ne ha tenuto conto e prima ha presentato un piano per 228mila nuovi posti nella fascia 0-6 anni (di cui 76mila 3-6 anni) poi nella versione finale lo ha alzato ancora, a 264.480. In pratica ha puntato a realizzare 45mila posti nei nidi in aggiunta a quelli strettamente necessari. Essere ambiziosi può apparire un pregio, tuttavia è stato il primo passo falso perché nel frattempo il finanziamento (dal 2027) per la gestione dei nuovi posti è rimasto a quota 143mila. Per i comuni del Sud, sempre alle prese con problemi di bilancio, non è un problema da poco, come ha spiegato a più riprese l'ex parlamentare Paolo Siani.

L'obiettivo degli asili nido è stato ritenuto talmente importante da riconvertire al volo, a Pnrr ancora in fase di approvazione, un bando da 700 milioni già partito in base a fondi stanziati nel 2020 e trasformato in corsa in Pnrr (attingendo ai 4,6 miliardi complessivi per l'edilizia scolastica). Solo che quel vecchio bando conteneva alcuni classici trucchi per favorire il Nord, come l'inserimento di tutti i capoluoghi di provincia tra i comuni svantaggiati o un punteggio premio per i comuni in grado di cofinanziare il progetto. Il risultato clamoroso di quella gara truccata (agosto 2021) fu che Milano scavalcò Venafro nel punteggio grazie a un cofinanziamento di importo massimo, contro le poche migliaia di euro messe nel piatto dal centro molisano. Il secondo errore, ma non l'ultimo. 

Di fronte a un target definito per legge, il 33%, il ministero dell'Istruzione nel dicembre 2021 ha scelto un valore di riferimento ben diverso, il 43,9%, pescato dal livello della Valle d'Aosta. Inoltre invece di contare i bambini esistenti, ha considerato quelli previsti dall'Istat. Sembra una scelta saggia: ai nidi si va in età 0-3 anni e quindi è giusto prevedere la popolazione per quando saranno realizzati gli asili, cioè il 31 dicembre 2025. Ma invece di guardare a quella data, si è scelta una di dieci anni successiva, il 2035, in modo da far scontare al Mezzogiorno un decennio di perdita di popolazione ipotizzata dall'Istat nell'ipotesi in cui fallisca il Pnrr e prosegua l'attuale emigrazione. Entrambe le mosse, alzare il target e cancellare 50mila bambini meridionali per presunta futura emigrazione, hanno avuto l'effetto di ridurre il fabbisogno di posti nel Mezzogiorno, che dal 64% reale è stato ridimensionato artificialmente al 55%. 

Una volta creata la gabbia Sud del 55%, però, è stata ulteriormente spezzettata in gabbiette regionali. Una scelta logica se il criterio fosse stato il numero di posti nido mancanti regione per regione; tuttavia la formula scelta dal ministero dell'Istruzione, mai resa pubblica, gonfiava i fabbisogni necessari per le regioni poco popolose, a danno quindi di Campania, Sicilia e Puglia. Un esempio: alla Campania sono stati assegnati 328 milioni e al Molise 82 milioni nonostante una numero di posti necessari (fonte Sose) di 32.431 e di 767. In pratica ogni bimbo campano senza nido si è visto assegnare 10.100 euro e ogni bimbo molisano nella medesima condizione 107.000 euro, dieci volte di più. Nessuna sorpresa quindi se al momento della presentazione delle domande, Basilicata e Molise non ce l'abbiano fatta a raggiungere gli enormi target disponibili.

In un bando costruito con criteri così eccentrici, il minimo che potesse accadere era una risposta tiepida da parte degli enti locali. Per i sindaci, infatti, mancava la certezza di copertura dei costi di gestione, visto che il piano di finanziamento della Sose di 1,1 miliardi a regime dal 2027 si basava su un numero di posti di molto inferiore agli obiettivi in mattoni del Pnrr. La scadenza del 28 febbraio 2022 è così arrivata con ben tredici regioni che hanno mancato il proprio target. I tempi sono stati riaperti prima fino al 31 marzo, poi diventato primo aprile, quindi ancora e solo per Basilicata, Molise e Sicilia fino al 31 maggio.

Nonostante i mesi persi per la riapertura dei bandi, il ministero dell'Istruzione non è riuscito a recuperare il ritardo, anzi. Una volta definite le graduatorie dei comuni vincitori, a causa dello spezzettamento del bando molte assegnazioni - addirittura sette su dieci - sono avvenute con riserva. L'Anci, l'associazione dei comuni presieduta da Antonio Decaro, a fine ottobre 2022 ha scritto una nota al governo Meloni, che si era appena insediato, per segnalare immediatamente l'assurdità della situazione che si era creata. Con il forte rischio che una quota consistente di municipi mancherà l'obiettivo di assegnare i lavori entro il 30 giugno.

L'ultimo errore è in fondo il primo e il più grave di tutti perché è un errore costituzionale. Un servizio come gli asili nido, infatti, è un Lep, un «livello essenziale delle prestazioni», cioè fa parte dei «diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». E chi deve garantirli? Il governo, secondo l'articolo 120 della Costituzione, che è tenuto a sostituirsi agli enti locali «quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». Mettere un Lep a gara, cioè chiedere ai comuni chi liberamente vuole o non vuole partecipare a un bando per l'asilo nido, significa esporsi al rischio che l'ente, per ragioni finanziarie, per incapacità organizzativa o per qualsiasi altra ragione, diserti il bando. Non sono casi isolati: secondo l'Ufficio parlamentare di bilancio ben 1.700 Comuni (non solo del Mezzogiorno) non hanno partecipato ai bandi nonostante un evidente fabbisogno di asili nido.

Come si cambia passo? Il ministro al Pnrr Raffaele Fitto potrebbe concordare con l'Unione europea una ridefinizione del piano che preveda di depennare i progetti sovradimensionati e a rischio; di commissariare gli enti non in grado di far partire entro il 30 giugno i lavori su finalità Lep; di varare un programma nazionale per la realizzazione diretta da parte di una struttura governativa centrale dei nidi necessari nei 1.700 Comuni che non hanno presentato domanda. Alla fine del 2025 mancano 32 mesi. Sarebbe una follia arrendersi con tanto anticipo e rinunciare agli asili nido per i bambini che stanno per nascere. 

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Il Mattino