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Le segnalazioni su un possibile attentato al Tempio maggiore di Roma partono il 27 giugno 1982, quando con un Appunto riservato il Sisde riferisce che gruppi di studenti palestinesi «avrebbero in animo» attacchi contro obiettivi ebraici a Roma. Durante l'inverno di quell'anno era già arrivata dalla Comunità romana una richiesta di protezione, ma è il 18 giugno che l'allora direttore del Sisde Emanuele De Francesco invia un telex riservato e urgente a Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Sismi: Probabili attentati contro obiettivi israelitici o ebraici in Europa. Eppure quel drammatico 9 ottobre, quando un commando di almeno cinque persone, poco prima di mezzogiorno, aprì il fuoco, davanti alla Sinagoga, non c'era neppure una pattuglia della polizia.
Si celebrava lo shabbat, il bar mitzvah di alcune decine di adolescenti della comunità e lo Shemini Atzeret, a chiusura della festa di Sukkot. C'erano circa 300 persone. Il bilancio fu di 35 feriti e un solo morto, il piccolo Stefano Gaj Taché, riconosciuto vittima di terrorismo solo pochi anni fa dal presidente Sergio Mattarella. Oggi di Osama Abdel Al Zomar, l'unico condannato per quella strage, si sono perse le tracce. Su di lui pende ancora un mandato di cattura internazionale. Ieri il Riformista ha aggiunto le note del Sisde a quel quadro drammatico che vede sullo sfondo il cosiddetto lodo Moro.
Dal 18 giugno al 9 ottobre partono 16 segnalazioni di possibili attentati in Italia.
Osama Abdel al-Zomar, all'epoca studente di lingue all'Università di Bari, sarebbe stato il basista. Dall'Italia era riuscito a fuggire. Fu arrestato in Grecia, nel novembre 82, quando a un posto di confine nella sua auto furono trovati 60 kg di tritolo. Nonostante le reiterate richieste dell'Italia, l'estradizione non è stata concessa, a Osama Abdel venne restituita la libertà con l'impegno di raggiungere la Libia, dove sarebbe rimasto durante il regime di Gheddafi. La magistratura rintracciò anche i bossoli e le armi utilizzate, le stesse di attentati precedenti a Vienna e Parigi, e soprattutto dell'anno dopo a Lisbona, quando viene ucciso Issam Sartawi, appartenente alla cerchia di Arafat, ma durante le indagini gli inquirenti non hanno mai ricevuto informazioni più dettagliate su quel tipo di armi e sulla loro provenienza.
Il cosiddetto lodo Moro era un accordo non scritto tra l'Italia e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Di fatto prevedeva che in cambio dell'impunità per il traffico di armi ed esplosivi i palestinesi non avrebbero colpito l'Italia o obiettivi di interesse strategico per gli italiani all'estero. L'accordo risale al 1973. Ed è stato rivelato da Stefano Giovannone, colonnello del Sismi inviato a Beirut. Molti anni dopo, nel 2008, Cossiga rilasciò un'intervista a un giornale israeliano ammettendo «vi abbiamo venduti». L'ipotesi è sempre stata che l'attentato sia stato compiuto dal gruppo terroristico di Abu Nidal, all'epoca in conflitto con l'Olp di Araft.
Il Mattino