Boris Johnson si dimette: «Serve nuovo leader, ma resto orgoglioso del mio governo». La telefonata alla Regina. Lo sfottò di Medvedev

Boris Johnson si dimetterà oggi: il premier britannico ha ceduto alle pressioni
LONDRA «Voglio che sappiate quanto sono triste, devo rinunciare al lavoro più bello del mondo ma così è la vita». Parla al popolo britannico e...

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LONDRA «Voglio che sappiate quanto sono triste, devo rinunciare al lavoro più bello del mondo ma così è la vita». Parla al popolo britannico e cerca di impietosirlo, Boris Johnson. È il primo pomeriggio e con queste parole annuncia le dimissioni da primo ministro e da leader del partito Conservatore. Il discorso alla nazione viene pronunciato davanti all’iconica porta dell’appartamento del capo del governo, al numero 10 di Downing Street, dove appena tre anni fa la collega Theresa May aveva fatto lo stesso, ma tra le lacrime, per non essere riuscita a realizzare la Brexit. Un discorso amaro, quello di Johnson, senza alcun rimorso, qualche rimpianto e molta rabbia, tutta ovviamente rivolta contro i Tory che siedono in parlamento e che nelle ultime 48 ore gli hanno teso un vero e proprio agguato, presentando uno dopo l’altro le dimissioni. 

Bojo, il declino e il sovranismo che non paga

 

Perché Boris Johnson non si dimette subito? Il caso della festa per l'anniversario di matrimonio (già organizzata). «Non può andarsene o salta»

 

 

 

 

 

 

 

«Negli ultimi giorni ho cercato di convincere i miei colleghi che sarebbe stato eccentrico cambiare governo mentre stiamo realizzando così tanti progetti, dopo aver ricevuto un supporto elettorale così ampio e con una situazione economica nazionale e internazionale così difficile. E mi dispiace non aver avuto successo con queste argomentazioni. Fa male non essere in grado di vedere la realizzazione delle numerose idee che avevamo con i miei occhi. Ma come abbiamo già visto a Westminster, l’istinto del gregge è forte e quando il gregge si muove, si muove». 


LE ACCUSE
È colpa del suo stesso partito, quindi, che «ha chiaramente manifestato l’intenzione di volere un nuovo leader e un nuovo primo ministro», ignorando, secondo BoJo, il volere di milioni di elettori che lo avevano votato nel 2019 e per i quali ha «combattuto» così a lungo. «Non mi sono battuto così duramente negli ultimi giorni solo perché volevo ma perché ho sentito che fosse mio dovere, il mio lavoro e un obbligo quello di continuare a fare ciò che abbiamo promesso nel 2019». Nonostante le decine di dimissioni, arrivate a raffica, una dopo l’altra, e la pressione dei ministri più fedeli, tra cui Priti Patel e Michael Gove, Johnson si era detto deciso a rimanere in carica. Fino a ieri mattina, quando il cerchio si è stretto ulteriormente attorno a lui con la ritirata, alle 6.47 del mattino, del segretario dell’Irlanda del Nord Brandon Lewis, seguito poi da altri funzionari per un totale di 50 tra ministri, vice e sottosegretari. 


SPALLE AL MURO
Alle 8.30 BoJo ha ceduto, ha annunciato la decisione appena presa al suo staff, che l’ho ascoltato piangendo, e si è chiuso in ufficio per scrivere il discorso da pronunciare alla nazione. Dopo una telefonata di cortesia alla regina Elisabetta, alle 12.30, ora di Londra, è uscito dalla porta del N°10, dove ad attenderlo davanti alle telecamere c’erano decine di sostenitori e la moglie Carrie con la figlia Romy nel marsupio. Nel suo intervento si è detto «incredibilmente fiero», fiero di aver attuato la Brexit, di aver «guidato l’Occidente» contro l’aggressione di Putin all’Ucraina, di aver condotto il paese fuori dalla pandemia col piano vaccini più rapido d’Europa e di aver preso la decisione di uscire dal lockdown per primi nel vecchio continente. 


LA STRATEGIA
Un’uscita di scena accolta con «tristezza» anche dal presidente Ucraino Volodymyr Zelensky mentre il portavoce di Vladimir Putin si è augurato che «persone più professionali arrivino al potere nel Regno Unito». Johnson si è poi messo al lavoro per occupare i numerosi posti rimasti vacanti all’interno del suo gruppo di lavoro. La sua intenzione è infatti quella di continuare a rimanere in carica fino alla nomina del successore – come avevano fatto Theresa May e David Cameron prima di lui, con la differenza però che avevano ancora una squadra di governo - che avverrà questo autunno ma i ribelli del suo partito vorrebbero che se andasse subito.

«Uno dei motivi per cui vuole rimanere ancora al potere è che il 22 luglio ci sarà la grande festa del suo matrimonio nella residenza di campagna di Chequers», ha detto un conservatore ai tabloid (Johnson e Carrie si erano sposati lo scorso anno con rito cattolico e con una cerimonia privata a causa delle restrizioni anti Covid). Il pettegolezzo è stato subito negato da un portavoce di Johnson, ma molti membri del parlamento spingono affinché l’incarico sia assegnato al suo vice, Dominic Raab. «Per il bene del Paese, Mr Johnson non dovrebbe rimanere a Downing Street, dove non gli è possibile avere un ruolo di comando o di fiducia nella House of Commons», ha scritto il veterano Tory, John Major. 


LA POLTRONA
Il processo per scegliere il suo successore è già iniziato ma richiederà almeno un paio di mesi per concludersi. Nella prima fase di questa selezione i candidati che si proporranno per il ruolo saranno eliminati uno a uno attraverso diverse votazioni. Quando ne resteranno solo due, questi si sfideranno in un’ultima votazione. Al momento, tra i membri più popolari del partito ci sono Ben Wallace, ministro della Difesa, che ha conquistato la fiducia dei parlamentari per il suo ruolo accanto all’Ucraina; la ministra degli Esteri Liz Truss; Penny Mordaunt, titolare del Dipartimento per il commercio internazionale; l’ex ministro della Salute Sajid Javid che ha dichiarato di essere intenzionato a candidarsi.

Ci sono poi Rishi Sunak, ex ministro delle Finanze che fino a pochi mesi fa era il candidato numero uno per sostituire Johnson, e Dominic Raab, che aveva già agito da primo ministro quando Johnson era malato di Covid. Infine c’è il neo Cancelliere dello Scacchiere Nadim Zahawi - ex Istruzione - rifugiato curdo arrivato a Londra quando aveva 6 anni. Il percorso è ancora lungo e i colpi di scena sono dietro l’angolo.

Una cosa è certa: eletto con 14 milioni di voti, Boris Johnson nel dicembre del 2019 aveva ottenuto una vittoria clamorosa, un consenso tra i più ampi nella storia dei Tory, che non vedevano numeri simili dal 1987. Un trionfo che però è durato poco: nonostante il successo iniziale, il suo è stato uno dei mandati più brevi nella storia della politica inglese. 


 

 

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Il Mattino