ROMA. La globalizzazione che non funziona, almeno agli occhi della classe media occidentale, la minaccia delle forze populiste e la difficoltà dell'Europa di trovare...
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Proprio l'insoddisfazione della classe media era il tema di uno degli appuntamenti a cui è intervenuto il ministro dell'Economia, che ha ricordato come questi sentimenti diffusi e trasversali vengano espressi «dicendo no a qualsiasi cosa i leader politici suggeriscano». Questa fascia di popolazione è «disillusa sul futuro, delusa sul lavoro per i figli e per la sicurezza del welfare». Ovviamente il riferimento non è solo a quanto successo in Italia con il referendum costituzionale, anche se la vittoria del no a inizio dicembre è uno degli eventi che hanno contribuito a costruire questo clima.
Su quello che accadrà nel nostro Paese il ministro ha voluto comunque rassicurare, spiegando che «stiamo continuando con la nostra strategia di riforme». Quella in corso è la fase dell'«attuazione» e più precisamente del «duro lavoro di implementazione che parte il giorno dopo l'annuncio delle riforme». Un lavoro al quale «i media non sono interessati».
La crisi in atto per Padoan «richiede il ripensamento della leadership»: quella leadership che «serve per avere una visione che dia soluzioni che riporti i cittadini a dare consenso alle politiche che vengono attuate». L'alternativa secondo il ministro è rappresentata dall'avanzata delle varie forme di populismo, che però non vanno demonizzate «perché quelli che lo votano, in molti casi, sono brave persone, che sono preoccupate sul futuro dei propri ragazzi, sull'educazione, sulla sicurezza. E vanno presi molto seriamente». Se le domande poste da queste forze estreme possono essere giuste, non lo sono invece le risposte, dato che «le soluzioni sono complicate e richiedono tempo per risolvere i problemi». Si tratta di costruire una «crescita inclusiva» (tema messo a fuoco in un altro dibattito) che a giudizio di Padoan si deve basare su quattro pilastri: lavoro, istruzione, tecnologia e innovazione e redistribuzione.
Il punto è chi sia in grado oggi di concretizzare un percorso del genere. Non l'Europa, per il ministro dell'Economia. Nel Vecchio Continente «manca quella visione e questa è la sfida che Brexit e Trump ci lanciano - ha spiegato, aggiungendo: «Mi dispiace essere pessimista ma è così». In forma ancora più esplicita: «Il problema dell'Europa è l'Europa, i nostri problemi nascono in Bruxelles e, talvolta, in Francoforte». E dunque si tratta di «rovesciare completamente le politiche perché ora si stanno dando i giusti argomenti per convincere che il populismo ha ragione».
Tra i fattori che minano la fiducia nelle istituzioni europee c'è forse anche la percezione di trattamenti differenziati per i diversi Paesi. Su questo punto ha dato una risposta il commissario europeo Pierre Moscovici, confrontando la procedura per deficit e quella per squilibri macroeconomici, in cui potrebbero ricadere Paesi come la Germania, per il suo gigantesco surplus con l'esterno. Nel primo caso la procedura «è molto precisa, basata su regole e prevede sanzioni operative, l'altra è meno efficace e sarà meno efficace finché gli stati membri non decideranno assieme che devono condividere lo sforzo».
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Il Mattino