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Il cambiamento climatico in Italia minaccia soprattutto le Alpi e il Bacino del Po. «Sono queste le zone più a rischio rispetto agli effetti della crisi climatica. Riduzione areale dei ghiacciai alpini e della disponibilità delle risorse idriche insieme ad un intensificarsi dei fenomeni di dissesto idrogeologico, degli eventi estremi e a un aumento del degrado del suolo sono tra i principali effetti che si registrano in queste aree. Una situazione preoccupante su cui bisogna intervenire al più presto».
È quanto torna a denunciare oggi Legambiente che, nel mese del rush finale sul Piano nazionale di ripresa e resilienza, indica al governo una road map da seguire in materia di adattamento climatico nelle aree montane per contrastare il climate change, ridurre il rischio idrogeologico e tutelare le risorse idriche. In particolare, per l'associazione ambientalista, «occorre dare concretezza ad azioni e politiche mirate facendo leva su prevenzione e resilienza, occorre sfruttare al meglio la grande opportunità del Next Generation Eu (Ngeu) finanziando interventi coraggiosi ed efficaci ed evitando quelli datati e non aggiornati all'intensificarsi degli eventi estremi». Tra i progetti da abbandonare «quelli che prevedono la realizzazione di nuovi invasi. Il Piano Nazionale Invasi non è la soluzione, va sostituito con un programma che adegui la domanda alle reali disponibilità idriche anziché incrementare queste ultime, sottraendole ai corsi d'acqua attraverso una sistematica opera di artificializzazione».
Infine al centro della road map tracciata da Legambiente c'è anche «l'approvazione di un pacchetto di 8 riforme non più rimandabili a partire dall'approvazione del Piano di adattamento climatico nazionale di cui l'Italia è ancora sprovvista e di una norma nazionale che tenga insieme la mitigazione del rischio e l'adattamento climatico».
Secondo gli esperti, nel lungo periodo (2071-2100), quanto alla disponibilità idrica del Po, nella migliore delle ipotesi, ovvero nello scenario RCP4.5 (scenario con consistente riduzione di emissioni di gas serra), rispetto alle condizioni attuali il volume delle riserve idriche scenderà da 95 a 72 km3, il volume relativo all'apporto meteorico si ridurrà di 23 km3, il deflusso alla foce si ridurrà a 33 km3 rispetto agli oltre 50 km3 (dati Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici). «L'Italia - dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente - è l'unico grande Paese europeo senza un Piano di adattamento al clima. Ad oggi si continua a rincorrere le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione che vada a tutelare e preservare tanto gli ambienti naturali quanto le aree antropizzate, anche quando si tratta di progettare il futuro del Paese attraverso il Recovery Fund.
La risposta alle sfide climatiche passa attraverso risorse per l'adattamento e un cambio della governance dei territori. Per la mitigazione del rischio geologico, idrologico ed idraulico, è opportuno privilegiare le azioni di previsione, prevenzione e gestione dell'emergenza, limitando per quanto possibile le azioni emergenziali e di ripristino a quelle utili per la riduzione progressiva del rischio, e per il ripristino di condizioni generali di sicurezza territoriale». «Da qui ai prossimi anni - spiega Vanda Bonardo, responsabile Alpi di Legambiente - sarà necessario ridurre la pressione antropica sui corpi idrici, favorendo il miglioramento dello stato ecologico come previsto dalla Direttiva quadro sulle acque e dalla Direttiva nitrati. Si dovrà acquisire al più presto un quadro completo dei nuovi scenari idrologici dei bacini per comprendere come cambierà in futuro la disponibilità idrica. Occorrerà sostenere un uso equo e sostenibile delle risorse idriche, trovando soluzioni alternative, dall'utilizzo di tecniche di efficienza e risparmio idrico a un uso più parsimonioso dell'acqua. Allo stesso modo saranno da sostenere le azioni volte a incrementare la ricarica delle falde, ad esempio mediante la creazione di aree o bacini di ritenzione delle acque meteoriche urbane e recuperando la multifunzionalità di quelle aree agricole sottratte alla pertinenza fluviale che, tornando inondabili, potrebbero accogliere enormi quantità di acqua per la ricarica delle falde».
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