Cambiare il Sud, si parte dalla Ue

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Antonio Accetturo e Guido de Blasio, gli autori di «Morire di aiuti» (Ibl Libri) – l’importante pamphlet sulle politiche per il Mezzogiorno cui hanno...

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Antonio Accetturo e Guido de Blasio, gli autori di «Morire di aiuti» (Ibl Libri) – l’importante pamphlet sulle politiche per il Mezzogiorno cui hanno recentemente dedicato la loro attenzione su queste colonne Nando Santonastaso, prima, e Gianfranco Viesti, poi - non hanno certo bisogno di avvocati difensori. La qualità della loro ricerca, il prestigio dell’istituzione in cui lavorano parlano infatti da soli. Le righe dedicate alle politiche per il Mezzogiorno dalle recenti Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia ne costituiscono la più autorevole conferma.


Sia Santonastaso che Viesti pongono, però, una domanda legittima che non può essere elusa e alla quale risponderò ovviamente a titolo personale e senza voler coinvolgere Accetturo e De Blasio. Per quanto mi riguarda non è affatto vero che l’agenda politica debba risolversi nell’azzeramento delle attuali politiche per il Mezzogiorno lasciando che siano poi le forze economiche a fare il necessario. Al contrario. 
Sono diverse le direzioni in cui sarebbe opportuno ed urgente muoversi ma è bene sapere che se non si incrina e non si sgretola il blocco di interessi politici, burocratici e clientelari che le politiche per il Mezzogiorno degli ultimi venticinque anni hanno colpevolmente contribuito a creare, a nutrire e a consolidare non si andrà comunque molto lontano. Per quanto sia difficile è quindi da qui che bisogna partire.

Ciò premesso, le direzioni verso cui muoversi sono – a mio modo di vedere – poche ma chiare. Primo, ripristinare il legame fra salari e produttività e quindi limitare ai soli aspetti normativi il contenuto dei contratti collettivi di lavoro. O, in alternativa, accettare senza infingimenti che nelle condizioni attuali il mercato del lavoro troverà sempre e comunque un equilibrio attraverso i flussi migratori interni. Basta scegliere, senza ipocrisie. Secondo, concentrare tutte (ripeto, tutte) le risorse disponibili su un solo ed unico obbiettivo: il completamento in un arco di tempo ragionevole delle reti infrastrutturali materiali ed immateriali. Una attività ad alto tasso tecnico in cui ogni compito di indirizzo e coordinamento non potrebbe che essere centrale. Terzo, fino a quando le reti infrastrutturali non fossero completate, la applicazione di aliquote di imposta sulle persone giuridiche strettamente legate alla dotazione infrastrutturale delle singole regioni. Le informazioni necessarie sono disponibili già oggi.

Mi rendo perfettamente conto che potrebbero porsi profili di compatibilità fra queste scelte e le indicazioni europee in tema di politiche di coesione (anche se tendo a pensare che sarebbero meno rilevanti di quanto non sembri). Indicazioni che – ironia della sorte! – l’Italia ha contribuito a suo tempo a definire per poi esserne la vittima principale. Ebbene, piuttosto che perdere il nostro tempo a chiedere modifiche nelle regole di bilancio europee che non otterremo o che, se otterremo, saranno accompagnate da condizioni intese a creare una cintura di sicurezza per l’Italia, piuttosto che prepararsi ad un duro negoziato mirando al Commissariato europeo all’agricoltura o alla pesca, sarebbe il caso di impegnare ogni risorsa ed energia per chiedere ed ottenere l’incarico di Commissario europeo alle politiche regionali con il mandato preciso di costruire il consenso necessario per cambiare politiche regionali che hanno penalizzato solo l’Italia. É un incarico andato negli anni passati ai tedeschi, ai francesi, ai polacchi e oggi ai rumeni. A chi cioè non ha alcuni interesse a cambiare le regole attuali. Non è l’interesse italiano. 


È comprensibile che chi ha partecipato con ruoli diversi e per decenni al disegno ed alla realizzazione delle attuali politiche per il Mezzogiorno non sia lieto di vederne accertato il fallimento. Ma dopo venticinque anni di reiterati disastri, dopo venticinque anni di sprechi colpevoli e tutt’altro che disinteressati, dopo venticinque anni non inutili ma purtroppo dannosi per il Mezzogiorno e per i meridionali, non viene loro la curiosità intellettuale di provare una strada diversa? Che, per inciso, non sperimentiamo da cinquant’anni. Da quando il Mezzogiorno era tornato ad avvicinarsi al resto del Paese.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino