Muore per un cancro al pene scambiato per un fungo: inutile l'amputazione dell'organo. Scatta la denuncia

Muore per un cancro al pene scambiato per un fungo: inutile l'amputazione dell'organo. Scatta la denuncia
CAMPOBASSO - Un dolore al pene inizialmente trattato dal medico di base come un fungo, quando invece era un tumore. Poi, dopo la diagnosi di carcinoma e l'amputazione...

Continua a leggere con la nostra offerta speciale:

X
MIGLIORE OFFERTA
ANNUALE
19 €
79,99€
Per 1 anno
SCEGLI
MENSILE
1 €
6,99€
Per 3 mesi
SCEGLI
2 ANNI
40 €
159,98€
Per 2 anni
SCEGLI

VANTAGGI INCLUSI

  • Tutti gli articoli del sito, anche da app
  • Approfondimenti e newsletter esclusive
  • I podcast delle nostre firme

- oppure -

Sottoscrivi l'abbonamento pagando con Google

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
CAMPOBASSO - Un dolore al pene inizialmente trattato dal medico di base come un fungo, quando invece era un tumore. Poi, dopo la diagnosi di carcinoma e l'amputazione dell'organo, un ritardo da parte dei medici nel rilevare le metastasi che hanno portato alla morte del paziente, un 64enne deceduto a Campobasso a fine gennaio 2013.




È il contenuto di una querela presentata dalla figlia della vittima, assistita dall'avvocato Chiara Rinaldi, del Foro di Bologna, alla Procura di Larino, comune in provincia del capoluogo molisano, dove è stato aperto un fascicolo di indagine sulla vicenda e affidato al Pm Luca Venturi.



LA STORIA I dolori cominciarono a fine 2011, quando il medico di base prescrisse farmaci, che non ebbero effetto, relativi ad una micosi. Successivamente l'uomo si rivolse ad un urologo che dapprima optò per una terapia antibiotica, ma i sintomi non regredivano. A febbraio 2012, ci fu il ricovero all'ospedale di Termoli, dove una biopsia evidenziò il carcinoma e lo specialista indicò l'operazione chirurgica di amputazione parziale del pene come l'unica percorribile per aggredire la neoplasia. Il 3 marzo il paziente fu dimesso con l'unica prescrizione di sottoporsi a controlli dopo qualche mese e l'urologo prospettò una prognosi favorevole. Ma a maggio una tac evidenziò tumefazioni nella zona inguinale e a fine estate l'uomo stava di nuovo male. Il 22 ottobre fu nuovamente ricoverato a Termoli, fu fatta una nuova biopsia e i medici consigliarono di rivolgersi ad altro ospedale, visto che il tumore, molto voluminoso, si era radicato attorno all'arteria femorale. I dolori erano fortissimi e fu sottoposto a San Giovanni Rotondo a chemioterapia, ma si trattava solo di trattamenti palliativi: l'uomo morì pochi mesi dopo. La denuncia, che allega una consulenza medico-legale del dottor Pietro Occhialini, fa riferimento, tra l'altro al ritardo con cui nel periodo febbraio-ottobre 2012 i sanitari dell' Urologia del 'S. Timoteò di Termoli giunsero alla diagnosi di una diffusione metastatica. Si ritiene che sul punto ci siano state «inadeguatezze tecnico-comportamentali, tali da configurare elementi di responsabilità professionale», così come ci sarebbero nell' «eccessiva latenza» (cinque mesi) con cui, dopo la tac di maggio, si è ricorsi ad una nuova biopsia ad ottobre. Un ritardo diagnostico definito «incomprensibile e inammissibile». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino