Centri antiviolenza: 800 casi in otto mesi ma risorse in ritardo

Lotta ai femminicidi, a Napoli sei strutture per offrire protezione e lavoro alle vittime

Violenza sulle donne
«Il bando che abbiamo vinto è partito lo scorso 23 dicembre con una progettualità che durerà per 15 mesi. Ciò significa che, una volta scaduto...

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«Il bando che abbiamo vinto è partito lo scorso 23 dicembre con una progettualità che durerà per 15 mesi. Ciò significa che, una volta scaduto (intorno a marzo 2024), il rischio è che potremmo non esserci più noi come operatrici a seguire donne che avevano iniziato un percorso di fuoriuscita dalla violenza». Rosa Di Matteo, coordinatrice dei sei (di cui cinque sono sottoposti a bando, l'altro, quello di Scampìa, è accreditato dalla Regione) centri antiviolenza del Comune di Napoli, fotografa bene la situazione di temporaneità in cui sono costretti a operare i Cav che accolgono le vittime di violenza. Il problema nasce nel meccanismo burocratico, poiché i finanziamenti, stanziati in legge di bilancio a dicembre dell'anno precedente, vengono poi ripartiti tra le regioni attraverso un decreto firmato dal ministro per le Pari opportunità che dovrebbe uscire nel primo semestre, ma arriva in genere a novembre, ossia 11 mesi dopo lo stanziamento. La conseguenza è che, nel passaggio dalle regioni ai Comuni, le risorse arrivano in ritardo ai centri che trattano i casi di violenze e maltrattamenti.

I Cav hanno lo scopo di garantire protezione e supporto adeguati alle donne vittime di violenza, secondo quanto previsto dal decreto legge 93 del 14 agosto 2013, convertito poi nella legge 119 del 15 ottobre 2013. Ma l'intoppo principale per aiutare concretamente le donne che vi si rivolgono sta nei tempi e nelle modalità dei finanziamenti: anche se, va detto, dalla loro istituzione si è passati a 12milioni di euro l'anno ai 40milioni dell'ultimo stanziamento. Nella legge di bilancio per il 2022 c'è stata inoltre l'adozione di un piano strategico nazionale sul fenomeno che ha consentito di aumentare i fondi per l'anno successivo. Tuttavia le risorse continuano ad arrivare in ritardo.

L'ultimo stanziamento è quello del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 settembre 2022, che ha ripartito le risorse del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità per quella annualità e ha previsto il trasferimento alle regioni di una somma pari a 40milioni, di cui 30milioni per il finanziamento dei centri antiviolenza e delle case rifugio e 10milioni per gli interventi regionali tra cui le iniziative per il sostegno economico, sociale e abitativo e il reinserimento lavorativo delle vittime.
Ma al di là della esiguità delle risorse e dei ritardi, l'altra falla del sistema è il meccanismo di distribuzione da parte delle regioni. Alcune infatti erogano i fondi direttamente ai centri antiviolenza accreditati. Altre invece - come la Campania - li trasferiscono agli ambiti socio-sanitari: che, tradotto, vuol dire che bisogna attendere che il Comune capofila degli ambiti li ripartisca a sua volta ai Cav. «A livello locale seppur esigui, il che richiede una consistente fetta di volontariato da parte delle operatrici, stiamo vivendo da dicembre una continuità mai verificatasi negli anni precedenti - dice Rosa Di Matteo - il che ha reso possibile più di 800 accoglienze e sostegno completo nei percorsi. Ma i finanziamenti da soli senza la dedizione delle operatrici non riuscirebbero ad esaudire la domanda. Io stessa in questo mese ho coordinato dal mare le azioni relative a diverse urgenze che si sono verificate nonché collocamenti in casa rifugio. È evidente che i Cav hanno bisogno di più risorse, perché possano adempiere al loro compito. Da noi si verificano liste di attesa per i percorsi psicologici, il che ci costringe a fare liste di priorità, per cui diventa difficile doversi destreggiare nei casi, tutti gravi».

Ottocento le donne accolte nel periodo dicembre 2022-luglio 2023, di cui un centinaio utenti ancora assistite, come si legge dalla tabella dei Cav relativa al periodo in questione. «Ciò significa dare continuità ai percorsi intrapresi per donne che, senza i nuovi progetti, sarebbe rimaste senza sostegno», sottolinea Di Matteo. «I nostri centri antiviolenza hanno subito una grave battuta d'arresto - aggiunge - sia dovuta al Covid sia soprattutto ad una lunga chiusura durata circa due anni che ha "disimparato" le donne nella fruizione di questo servizio fondamentale per le vittime di violenza. Dal 6 dicembre 2022 a tutt'oggi la rete dei Cav ha accolto più di 800 donne, un numero che nonostante la forzata sospensione ci racconta di quanto sia diffusa la violenza in questa città, una violenza che ha un grande invisibile: i figli, la maggior parte dei quali minorenni».

Secondo Di Matteo «il caso di specie oltre i temi appena accennati ci dice in maniera inequivocabile quanto la violenza sulle donne e sui loro figli rappresenti nella coscienza collettiva e istituzionale in reato di serie b e per questo poco "aggredibile", anzi rimandabile». In particolare sul caso di Giusy: «Sei denunce sono tantissime, la vita sospesa di questa donna e dei suoi figli è una grave lesione dei diritti umani di cui un Paese civile dovrebbe farsi carico in tempi brevissimi. Ma la violenza sulle donne in Italia è un freccia rossa a tutta velocità lanciato su un sistema istituzionale in modalità locomotiva».
 

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Il Mattino