o ha ripetuto più volte Barack Obama: «Lascio un'America più forte». Ed è al futuro del Paese che guarda il presidente uscente nel suo...
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Non una lista degli obiettivi raggiunti o dei dossier chiusi quindi, ma il tentativo estremo di dare un nuovo significato a quello slogan che ha reso la sua storica presidenza possibile: «Yes we can!». Lo scandiva nel 2008 una folla festante e commossa che a Chicago salutava l'arrivo del cambiamento quando il giovane senatore dell'Illinois appena eletto presidente salì sul palco a dare un volto nuovo al sogno americano, ed è l'urlo di speranza che Obama chiede agli americani di non archiviare, non adesso, nonostante ciò che pensano del suo successore Donald Trump.
Chicago non a caso: a differenza di Ronald Reagan, Bill Clinton o George W Bush, Obama esce dalla Casa Bianca per il suo discorso finale e torna tra la gente. Un bagno di folla (c'è chi si è messo in fila per ascoltarlo 14 ore prima) ma non solo, l'obiettivo è chiudere il cerchio. Lì dove ha imparato ad ascoltare lavorando dalla base, per ricordare agli americani - e ai democratici in particolare, scossi dalla sonora sconfitta subita dall'inarrestabile campagna dell'outsider Donald Trump - che l'energia la si prende dal basso.
«Un talento il suo nel portare la gente a lavorare insieme verso un obiettivo comune», ricorda il suo chief of staff Denis McDonough, sottolineando che in questo senso il messaggio di Obama rimane immutato: «L'importanza di lavorare insieme e lottare per i propri valori». E se è vero quanto anticipato in più occasioni, lavorare alla ricerca dei leader del futuro, Obama riparte da Chicago. Eppure proprio la sua città adottiva è oggi simbolo di quelle ferite profonde che otto anni di presidenza non sono riusciti a lenire e di un lavoro non finito.
Capitale degli omicidi, nel 2016 se ne sono registrati 762, il numero più alto dai tempi bui dell'epidemia di crack negli anni '90.
Il Mattino