Morto De Mita, maestro di politica per sempre democristiano

Morto De Mita, maestro di politica per sempre democristiano
Ora che è scomparso, ora che Ciriaco De Mita ha messo fine ai suoi giorni a 94 anni – era nato a Nusco il 2 febbraio 1924 - , chissà in quanti recupereranno...

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Ora che è scomparso, ora che Ciriaco De Mita ha messo fine ai suoi giorni a 94 anni – era nato a Nusco il 2 febbraio 1924 - , chissà in quanti recupereranno quella sua dichiarazione così forte e tanto identitaria da proporsi come suggello di un lungo e importante tragitto politico. «Quando morirò seppellitemi con un biglietto in cui c’è scritto “Sono stato democristiano”. Anzi no: non “sono stato”. Nel biglietto ci dev’essere scritto “Sono democristiano”, al tempo presente».

De Mita amava adattare il verso della chitarra di Federico Garcia alla sua vicenda e per lui sentirsi orgogliosamente democristiano significava rivendicare a sé il ruolo di interprete della politica come pratica della ricerca delle soluzioni possibili. Concretezza e pensiero. Mario Tronti ha definito la Dc - il complesso e sfuggente teorema democristiano delineato da Franco Cassano - il partito della mediazione pura. Se è così, Ciriaco De Mita, democristiano di ceppo moroteo e di lezione sturziana, può essere indicato come lo stratega della mediazione intelligente, l’esponente di una istanza cattolico-democratica che aspirava alla modernizzazione senza perdere pezzi della sua storia. In questo, l’estremo simbolo della Prima Repubblica.


Il suo strumento sono stati i ragionamenti: il suo ininterrotto esercizio da intellettuale della Magna Grecia – attribuzione a Gianni Agnelli, con il malefico compendio di Indro Montanelli: «Io però non capisco che cosa c’entri la Grecia» -, i suoi lunghi e complessi discorsi, la sua eloquenza ellittica in cui l’anacoluto si incardinava come l’artificio retorico del convincimento, nel gesto teatrale da antico cultore di Cechov. Per poter cogliere una verità. «Mio padre mi raccomandava: chi pretende di semplificare i concetti difficili non li ha capiti. La politica è complessità». I ragionamendi, bistrattati e parodiati che poi Tullio De Mauro riscatterà come esempio di chiarezza. 

Un animale politico, totus politicus, fino a coltivare l’illusione dell’onnipotenza nell’esercizio del potere, a scivolare nelle sindrome di Creonte. «La politica è una cosa difficile. – affermava – Richiede ingegno, estro». Accanto a questo anche «la necessità di raccogliere il consenso intorno a cosa fare». Così ha attraversato oltre 70 anni della vicenda nazionale, da Avellino al mondo, dal vertice democristiano alla presidenza del Consiglio: dalla Prima Repubblica al Municipio di Nusco rimanendo democristiano, nella Dc o nell’Ulivo, nel Ppi o nella Margherita, nel Pd da cui uscì offeso da Walter Veltroni che non lo volle ricandidare, o nell’Udc o nell’ ultimo approdo di Italia è Popolare. 



Ragazzino nella Nusco negli ultimi anni del fascismo, lui – il figlio del sarto Giuseppe e della casalinga Antonia – ha sempre confessato di dovere la sua formazione ai confinati politici in Alta Irpinia. Consegue la maturità classica a Sant’Angelo dei Lombardi. Intanto si forma alla riflessione e alla polemica, tanto da sfidare poi in piazza da democristiano a 16 anni il comunista Carlo Muscetta: entrambi, nelle rispettive ricostruzioni, si diranno vincitori. De Mita grazie a una borsa di studio può iscriversi all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, dove si laurea in Giurisprudenza, comincia a lavorare presso l’Eni di Enrico Mattei, si indirizza presto verso l’attività di partito. 

Dal 1956 avvia il suo percorso: è eletto consigliere nazionale della Dc al congresso di Trento e si fa notare per aver contestato Amintore Fanfani e i criteri organizzativi del partito. Deputato per la prima volta il 16 maggio 1963, fonda con Giovanni Marcora la corrente della Sinistra di Base e in Irpinia dà battaglia a Fiorentino Sullo, già esponente di punta nazionale della Dc, scalzandolo. Con Nicola Mancino, Salverino De Vito, Giuseppe Gargani, Gerardo Bianco, Antonio Aurigemma, Biagio Agnes forma il gruppo dei “magnifici 7”. Nel 1966 alla Camera lancia l’ipotesi di un accordo con i comunisti a proposito dell’attuazione dell’ordinamento regionale e inizia un dialogo con il Pci che ha sempre rivendicato. De Mita riprende il filo del discorso di Moro iniziato a Benevento il 18 settembre 1977 e interrotto a via Caetani il 9 maggio 1978: realizzare la fase della democrazia compiuta allargando il campo anche al Pci, alla sinistra comunista. Insieme per condividerne la salvaguardia, riscrivere le regole del suo funzionamento e di conseguenza prevedere l’alternanza, ma con un comune sentire. Era la sua architettura delle intese per riformare le istituzioni. 

Il 14 dicembre 1968 è sottosegretario all’Interno nel governo di Mariano Rumor. Il 7 luglio 1973 ministro dell’Industria ancora con Rumor, il 23 novembre 1974 titolare al Commercio estero con Moro, il 29 luglio 1976 agli Interventi straordinari nel Mezzogiorno con Giulio Andreotti, quindi segretario nazionale della Dc da maggio 1982 al febbraio 1989, sette anni che costituiscono un record, impegnandosi in una operazione di rinnovamento del partito che promuoverà Sergio Mattarella, Mino Martinazzoli, Pierluigi Castagnetti, Giovanni Goria. A Palermo imporrà Leoluca Orlando. Apre la Dc ai cosiddetti esterni, a contributi e presenze in grado di restituire credibilità. Nel 1985 compie l’impresa di far eleggere Francesco Cossiga al primo turno presidente della Repubblica – il 3 luglio - , esito di un’ampia convergenza e di una lucida tessitura. È il metodo De Mita che passa alla storia della Prima Repubblica. 
Il 16 aprile 1988 le Brigate Rosse uccidono il suo consulente e amico Roberto Ruffilli, nel gennaio precedente poteva toccare a lui se non ci fosse stata la soffiata di un pentito. Quando nel settembre 1992 viene eletto presidente della Commissione bicamerale si pone l’obiettivo di condurre in porto il progetto di riforma istituzionale del suo stretto collaboratore. Non vi riuscirà. Né lui né altri, in fondo. 

È presidente del Consiglio dal 2 aprile 1988 al 22 luglio 1989: il periodo della staffetta e del duro contrasto con il leader del Psi, Bettino Craxi, appaiono i due acerrimi contendenti anche se in fondo conserveranno un rapporto di sostanziale rispetto, riconoscendosi la dignità dei duellanti in nome di due diverse concezioni della politica, del governo, della società, dell’Italia. Per altro, gli scontri di Ciriaco De Mita – carattere duro e spigoloso - compongono un capitolo denso nel romanzo nazionale dell’epica della politica. Da quelli interni alla Dc agli altri più evidenti sulla ribalta pubblica. Certo, Craxi. Poi Massimo D’Alema: il 3 dicembre 1988 il quotidiano del Pci, “l’Unità” allora diretto da D’Alema, titola: «De Mita si è arricchito con il terremoto», che è quello del 23 novembre 1980. Ciriaco De Mita risponde con una querela che, però, non ha seguito in quanto viene accettata la spiegazione di D’Alema.

Un errore tipografico, il punto di domanda saltato a chiusura della frase. Qualche decennio dopo, Massimo D’Alema si scuserà direttamente con De Mita e gli donerà quella pagina de “l’Unità” incorniciata e con esplicita chiosa, ora nel salotto della sua casa di Nusco. Quindi la delusione per Veltroni, che lo cancellò dalle liste dei candidati, e resta indimenticata la sfida televisiva con Matteo Renzi – già giovane democristiano nella sinistra di base fiorentina - arbitrata da Enrico Mentana il 28 ottobre 2016 sul referendum costituzionale, quando De Mita che è per il No, sbotta in uno sprezzante «miserabile». Assai puntuta la laconica risposta a chi gli chiedeva di una possibile presidenza della Repubblica per Silvio Berlusconi, personaggio sopportato e comunque mai digerito: «Berlusconi chi?». 

Deputato fino al 14 aprile 1994 e dal 9 maggio 1996 al 28 febbraio 2008 tre volte eurodeputato, al termine di questo mandato – dal luglio 2014 – decide di svolgere il suo ruolo soprattutto sul piano regionale, determinando in Campania l’equilibrio tra gli schieramenti di centrodestra e centrosinistra: prima il sostegno a Stefano Caldoro, poi a Vincenzo De Luca. «Soltanto chi si arrende è vecchio in politica», ricorda. Da qui ha continuato a osservare le turbolenze di uno scenario in cui non si riconosceva, presagendo tempi cupi: «In Italia sta per arrivare un altro diluvio». Il 13 gennaio scorso Papa Bergoglio vuole riceverlo, la fotografia ufficiale dell’incontro fissa l’immagine di un De Mita visibilmente emozionato. 

È morto da sindaco di Nusco, due volte eletto. Ha guidato il Progetto pilota altirpino nella Strategia nazionale per le aree interne. Era tornato in Alta Irpinia, nella terra che sentiva radicalmente sua. Per chiudere un ciclo e, con lui, un’epoca. 

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Il Mattino