Oggi Emma Bonino, i radicali di Magi e Forza Europa di Della Vedova. Presto, molto presto, Pisapia e il suo Campo Progressista. A seguire, se lo vorranno, anche Mdp con Bersani e...
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Sulla linea che nega la discontinuità, ma apre al confronto, oggi pomeriggio Matteo Renzi aprirà la direzione del Pd parlando di come la sinistra ha portato il Paese «fuori dalla crisi». La prima direzione dopo la disfatta della sinistra in Sicilia, e forse l'ultima per cercare di riagganciare un pezzo di sinistra ora parcheggiata tra Pisapia e «Cosa Rossa». Una sconfitta, quella siciliana, che non ha riguardato solo il Pd, ma anche quell'area alternativa, raccolta intorno a Fava, che solo qualche settimana prima sventolava compiacenti sondaggi da ballottaggio e che invece ha raccolto lo stesso 5% del 2012. Ora che la «tragedia», per dirla con Romano Prodi, si è compiuta e che c'è il rischio che anche le elezioni politiche diventino un «affare» tra grillini e centrodestra, c'è chi prova a rimettere insieme se non una coalizione, almeno una sorta di «civile convivenza» che eviti di avvantaggiare nei collegi berlusconiani e grillini.
E che al Nazareno c'è voglia di ribadire il metodo inclusivo rilanciato all'assemblea di Napoli - ma non leadership che rimane saldamente in capo a Renzi - lo dimostrano le parole di Lorenzo Guerini in risposta alla richiesta del verde Angelo Bonelli di un «confronto programmatico». La disponibilità del coordinatore della segreteria Pd è la stessa che Renzi intende offrire a tutti coloro che condividono che i «nemici» comuni sono Berlusconi, Salvini, Grillo e non il segretario del Pd. Un distinguo che Roberto Speranza non compie - malgrado sia stato capogruppo del Pd durante i governi Monti e Letta che avevano in maggioranza proprio Fi - e che alimenta lo scetticismo di Renzi, ma non la sua volontà di presentare un Pd unito e pronto a ragionare di contenuti.
Ieri Renzi ha fatto un nuovo giro di telefonate con i big del Nazareno. Ha condiviso le parole di Walter Veltroni, ma anche la volontà di Franceschini, Orlando ed Emiliano di presentarsi uniti, inclusivi, senza però accettare il concetto della «discontinuità» che vorrebbero gli scissionisti. In prima fila oggi ci sarà Paolo Gentiloni, presidente del Consiglio che più incarna la continuità nell'azione di governo con il precedente esecutivo. Rinnegare ciò che è stato fatto nei quattro anni di governo, accettando il principio della «discontinuità», è «inaccettabile» per Gentiloni come per i due ministri Orlando e Franceschini che ancora fanno parte del governo.
L'obiettivo è cogliere i «segnali positivi» che Franceschini ha individuato dopo l'assemblea di Campo Progressista di ieri e che si focalizzano sulla volontà espressa da Pisapia di non voler ripetere l'esperienza siciliana. Messaggio indigesto per Nicola Fratoianni (SI), per quella parte di Mdp che dopo la discesa di campo di Grasso immagina percentuali a due cifre, e per coloro che, come la coppia Falcone-Montanari, sono pronti a scindersi sulle scissioni sperando, forse, in un seggio.
Nel grande frullatore di tutto ciò che c'è a sinistra del Pd, e che a suo tempo affossò un paio di governi Prodi, Renzi non intende entrare. Oltre ad una disponibilità a discutere di contenuti, offrirà loro nuovamente la promessa di portare in aula ius soli e bio-testamento. Metterà un po' in sordina i vitalizi, che piacciono solo a Matteo Richetti e ai grillini. Dopodichè, si sostiene al Nazareno, «chi vorrà rompere dovrà farlo contro il Pd e non grazie al Pd». «Fare di tutto per unire», scrive su twitter la prodiana Sandra Zampa. Un auspicio con poche certezze. Almeno per ora.
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Il Mattino