M5S, la mossa di Di Maio: al web l'ultima parola per la svolta Dem

M5S, la mossa di Di Maio: al web l'ultima parola per la svolta Dem
Dopo quaranta giorni passati a parlare di forni, contratti, accordi, convergenze, uffici di presidenza, la folta pattuglia di parlamentari M5S chiede a Luigi Di Maio una svolta. E...

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Dopo quaranta giorni passati a parlare di forni, contratti, accordi, convergenze, uffici di presidenza, la folta pattuglia di parlamentari M5S chiede a Luigi Di Maio una svolta. E lui ha promesso loro il ritorno alle origini: il voto online che ratifica, appiana, livella e smussa tutto, alla bisogna. Quando Di Maio avrà preso una decisione e saprà con chi chiudere l'accordo, se con il Pd o con la Lega, sottoporrà la sua decisione a votazione elettronica sul sito web Rousseau. Per due motivi: tornare a far sentire gli iscritti importanti dopo giorni in cui si sono sfogati nei commenti social e poi mettere un punto definitivo sull'accordo per ricompattare eletti ed elettori che potranno mostrare la votazione in caso di malumori che ci sarebbero soprattutto in caso di maggioranza, e quindi governo, con il Pd definita una forza politica la cui colpa capitale è il patto del Nazareno, quello con FI, e poi un partito che è stato strenuamente combattuta negli ultimi cinque anni.


Eppure al Pd Di Maio è costretto a guardare. Perché si prepara a un incarico esplorativo affidato a Roberto Fico che potrebbe firmare quel contratto di governo con il Pd più velocemente di lui. E perché Matteo Salvini non intende divorziare da Silvio Berlusconi. La proposta del leader leghista al collega pentastellato è stata questa: «Vi prendete Berlusconi, vi prendete Meloni e Di Maio fa un passo indietro». La proposta è stata riferita ieri dal capo politico M5S all'assemblea congiunta dei parlamentari che prima si sono messi a ridere e poi al momento di alzare la mano per esprimere accordo o meno sulla proposta hanno mantenuto tutti il braccio abbassato. Dunque, si va avanti con Di Maio candidato premier che però, lui stesso sa, sarà una posizione difficile da mantenere sia che chiuda con la Lega, sia con il Pd. E quindi la fermezza vacilla, si fa strada il dubbio che la rigidità di Di Maio sulla premiership e, contestualmente, su Berlusconi, non paghi. E spunta l'idea di un profilo terzo per l'incarico. «La mia premiership è un punto che abbiamo a cuore, ma non l'unico punto», ha detto.
 
L'assemblea è stata vissuta come un momento rituale che prepara a una transizione. Il senatore lucano Vito Petrocelli ha letto alla platea l'ultimo discorso di Aldo Moro pronunciato a pochi giorni dal suo rapimento in cui parlava della necessità di fare un compromesso storico. Molti lo hanno interpretato come appello alla responsabilità politica. E Di Maio ci prova, aprendo quel forno Pd con tutte le cautele del caso, e quindi serbando il terrore di legittimare ancora Matteo Renzi con cui aveva rifiutato un confronto tv e ora, seppur attraverso il segretario reggente Martina, si dice pronto a firmare un contratto di governo.

Ha già assunto le pose ultra concilianti che servono per accostarsi ai dem. La posizione sulla Siria è eclatante: un facsimile di Gentiloni. E poi, non c'era nessuno del M5S ieri tra i relatori dell'affollatissimo incontro sulla direttiva Bolkestein, organizzato da Fi e Lega, che il Movimento ha sempre avversato insieme al Carroccio e a Fdi. C'era Ivan Della Valle, ormai espulso per la storia dei bonifici, che non avrebbe dubbi sulla convergenza con la Lega e che ricorda il comizio veneziano di Di Maio poco prima del 4 marzo in cui prometteva lo stop della direttiva Ue.

Ora il forno Pd si deve accendere, per forza. «Le proposte di Martina rappresentano un ottimo punto di partenza», ha detto Di Maio che ieri all'uscita dal colloquio con la presidente Casellati non ha mancato di attaccare Salvini. «Io sono stato accusato di porre dei veti e non si capisce perché io non possa porlo su Silvio Berlusconi ma Salvini può porlo sul Pd. La verità è che noi oggi siamo insieme alla Lega le uniche due forze politiche che non si pongono dei veti a vicenda, e questa può essere l'occasione per prendere consapevolezza del fatto che le uniche forze in grado di dialogare, di firmare un contratto di governo, nell'ambito di quelle che hanno partecipato a questa consultazione, sono il M5S e la Lega», ha detto lanciando l'ultimatum a Salvini perché decida entro il fine settimana.


In assemblea ha usato toni più sferzanti e ottimistici: «Da venerdì il centrodestra non esiste più. Una presidente del Senato che proviene da Forza Italia e che va da Mattarella e dice che non ci sono le condizioni... nel centrodestra credo che sia il suggello a quello che noi stiamo dicendo da molto tempo». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino