Il dottor Pietro Poidomani, classe 1954, da oltre 35 anni è medico di famiglia a Cividate al Piano, 5.000 abitanti nella bassa bergamasca. Ha curato i suoi pazienti...
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Secondo lei, dottore, il disastro si sarebbe potuto evitare?
«Attorno a fine dicembre noi medici di base abbiamo cominciato a rilevare casi di pazienti con tosse persistente, febbre costante e molto provati. Mi sono accorto che nella saturazione dell'ossigeno c'era qualcosa che non funzionava, ci trovavamo di fronte a forme interstiziali che non sapevamo valutare. Lo stesso tipo di strane polmoniti che ora l'Ats certifica erano già state notate, ma sui nostri allarmi nessuno ha deciso di indagare, di approfondire alcunché. Io ne ho parlato con alcuni colleghi e ho trovato la conferma. In quel periodo la Cina aveva chiuso in casa milioni di persone ed era arrivata alla Regione anche la segnalazione del ministero della Salute. Ma niente, abbiamo buttato via almeno 45 giorni».
Quando ha capito che la situazione stava precipitando?
«Quando è scoppiato il caso del paziente uno a Codogno ho pensato: due più due fa quattro, tutti gli episodi visti qui da inizio gennaio erano coronavirus, il fuoco ha covato sotto la cenere e nessuno in Regione ha avuto il coraggio politico di affrontare l'emergenza. E non è nemmeno questione di colore politico: se un professore a Padova a metà gennaio era già attrezzato con reagenti, perché qui non si è fatto niente? Noi, tramite i medici sentinelle, seguivamo le curve epidemiche. Io sono stato sentinella ai tempi della suina, i portantini ci consegnavano i tamponi da fare nei casi dubbi per cercare di capire l'incidenza del nuovo virus. Questa volta per negligenza e trascuratezza non è avvenuto».
Con l'avvicinarsi il disastro come si è mosso?
«Quando c'è stato il primo positivo a Codogno ho chiamato il sindaco di Cividate. Noi siamo nella stessa situazione - gli ho detto - forse anche peggio. Perché il nostro territorio è un porto di mare. Il sindaco è intervenuto direttamente e abbiamo introdotto il triage telefonico con i pazienti. Ma un conto è se lo fa il medico di famiglia che conosce bene il paziente, altro se come ha fatto la Regione viene affidato a personale infermieristico con domande standard. Purtroppo la sanità lombarda guarda più all'esenzione dei ticket, ai soldi che non all'essenza della malattia. La prima tappa del paziente l'hanno ignorata ed eravamo proprio noi medici di base, indigesti all'assessore Gallera per aver criticato la riforma sanitaria soprattutto per la gestione dei malati cronici. Che, guarda un po', sono i vecchietti caduti sotto i colpi del virus». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino