Coronavirus, gli studenti napoletani al bivio: «Noi fuori sede restiamo al Nord: se torniamo ci diranno che siamo appestati»

Coronavirus, gli studenti napoletani al bivio: «Noi fuori sede restiamo al Nord: se torniamo ci diranno che siamo appestati»
I fuori sede universitari campani che studiano in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto vivono questa emergenza per il coronavirus con una doppia ansia. Da una parte il timore che...

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I fuori sede universitari campani che studiano in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto vivono questa emergenza per il coronavirus con una doppia ansia. Da una parte il timore che l'area rossa del contagio si allarghi anche a un grande comune come Milano con i disagi della quarantena che ne derivano, dall'altra la paura che il blocco delle attività didattiche continui anche nelle prossime settimane e rallenti la pianificazione del percorso di studi. A marzo infatti le attività si intensificano e ci sono numerose sedute d'esami, e spostare una sessione significa dover allungare i tempi o sovraccaricarsi nei prossimi mesi, quando l'emergenza per il Covid-19 sarà solo un brutto ricordo. Le università che aderiscono alla Conferenza dei Rettori delle Università italiane (Crui) infatti resteranno chiuse al pubblico per l'emergenza coronavirus fino al 29 febbraio e dovrebbero aprire il 2 marzo. Solo in Lombardia (dove sono insediati gran parte degli studenti campani fuori sede) sono 14 gli atenei coinvolti tra cui le frequentate Statale, Cattolica, Politecnico, San Raffaele e Bocconi.

 
I napoletani Marta e Giampaolo studiano alla Bicocca di Milano, la prima Medicina ed Economia il secondo. Vista l'emergenza di questi giorni e il blocco della didattica, volevano rientrare a casa ma hanno desistito. «Sinceramente è complicato capire se devo mettermi comunque in quarantena obbligatoria anche se non sono venuta in contatto con nessun contagiato o persone che sono state in Cina, e se anche i miei familiari sarebbero costretti a fare lo stesso. Nell'indecisione, ho preferito non partire», ammette la studentessa. «La caccia all'untore che si è scatenata in tutto il Paese mi ha lasciato senza parole, e temo più per le difficoltà dovute all'ignoranza delle persone che per la malattia stessa». Anche per questo motivo, gli studenti preferiscono non dichiarare il cognome «per evitare che al mio rientro si scateni comunque una caccia alle streghe». A far desistere Giampaolo invece è stata «la possibilità di contagio su mezzi di trasporto come i treni. Per quanto possano aver igienizzato i vagoni, uno starnuto può creare il panico all'interno di un compartimento chiuso. Ho così preferito non rientrare a casa».
 

Per Chiara, Francesco e Paolo la paura è invece collegata agli esami rimandati a data da destinarsi. «Per adesso le attività dicono che riprenderanno il 2 marzo, ma la paura che possano prendere ancora del tempo per ripristinare appelli, laboratori e convegni è molto alta» spiega la giovane iscritta al secondo anno di Scienze e tecnologie per lo studio e la conservazione dei beni culturali e dei supporti della informazione alla Statale di Milano. «Avevo in programma l'esame di Paleontologia previsto la settimana prossima: tutto rimandato. So di colleghi che dovevano consegnare la tesi ed è tutto in bilico». Per qualcuno può anche diventare dispendioso, poiché spostando le sedute di laurea si corre il rischio di passare all'anno accademico successivo, diventando così fuori corso e pagando altre tasse universitarie. I due studenti invece frequentano la magistrale in Management alla Bocconi. «È tutto fermo, i test che stiamo preparando sono in programma a metà marzo e dovrebbe essere tutto normale, ma non possiamo saperlo fino a pochi giorni prima» spiega Francesco. «Non sono sereno interviene Paolo - non studiamo con la mente sgombra da interferenze. Viviamo nei pressi di ChinaTown e qui il clima è surreale, basta un colpo di tosse per fare il vuoto intorno. Restiamo a casa e studiamo, vogliamo metterci tutto alle spalle». Anche loro avevano pensato di allontanarsi dall'ambiente universitario visto che non possono neanche frequentare il campus, biblioteca o sale studio ma hanno desistito. «Sono di un comune del salernitano spiega Francesco - se tornassi lì mi sentirei a disagio, perché tutti sanno che vivo nel quartiere abitato dalla comunità cinese. Se abbiamo paura? All'inizio un po', poi però ci siamo informati meglio e abbiamo capito che l'ignoranza è peggio del virus». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino