È stata letta questa mattina la sentenza per l'omicidio di Sarah Scazzi. Dopo la Camera di consiglio nella notte è arrivato il momento di mettere la parola fine...
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Secondo la ricostruzione del delitto, lo zio della giovane vittima, Michele Misseri, avrebbe avrebbe aiutato moglie e figlia a nascondere il corpo senza vita. La I sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna a otto anni nei suoi confronti per la soppressione del cadavere. La Corte ha poi ritoccato al ribasso di un anno la pena per il fratello di Michele, Carmine Misseri, riducendola a quattro anni e 11 mesi.
Il sostituto pg Fulvio Baldi aveva sostenuto la colpevolezza delle imputate al di là di ogni ragionevole dubbio. «Sono convinto della ricostruzione colpevolista della sentenza d'appello», basata su elementi certi. I giudici tarantini, ha detto il rappresentante dell'accusa, «hanno fatto a meno» delle dichiarazioni e dei ripensamenti del contadino di Avetrana. «Sabrina - è la ricostruzione del movente secondo il magistrato - era in uno stato di agitazione e nervosa frustrazione, accusava Sarah di aver contribuito alla fine della storia con Ivano Russo, di aver rivelato dettagli della sua condotta sessuale gettando discredito su di lei e sulla sua famiglia. La madre solidarizza, con un atteggiamento da madre del Sud. Ne nasce una discussione in cui Sarah risponde da 15enne, scappa via, ma riescono a raggiungerla per darle la lezione che merita, una lezione evidentemente assassina. Poi danno ordine a Michele Misseri di disfarsi del corpo». Sabrina, afferma ancora il pg, ha «il necessario cinismo», «il tipo di azione commessa è nelle sue corde». Quanto a Cosima, è mossa da una «partecipazione emotiva credibile alla vita della figlia»: «il movente c'è ed è addirittura più consapevole di quello di Sabrina».
Secondo la difesa, rappresentata da Franco Coppi e da Roberto Borgogno, altro non era che un «errore giudiziario», come «spesso capita quando i processi si celebrano sotto gli occhi dell'opinione pubblica». L'arringa difensiva era partita dal principio che nel processo l'accusa si sia mossa in base a «un pregiudizio». Ma i giudici hanno confermato la condanna.
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Il Mattino