Se andrà bene, arriveranno almeno altri 500 positivi dalla Sardegna a Roma. Ma il conto potrebbe essere molto più alto: nessuno effettua i controlli agli imbarchi e...
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Con l’incidenza rilevata in questi giorni, questo fa prevedere un positivo su cento e dunque si arriva a 500. Il governatore della Sardegna, Christian Solinas, anche ieri si è rifiutato di attivare il servizio di tamponi prima dell’imbarco ai traghetti; il vicepresidente del consiglio regionale del Lazio, Devid Porrello (M5S), sostiene che è sbagliato, ma a questo punto li faccia la Regione Lazio al porto di Civitavecchia. L’assessore alla Salute, Alessio D’Amato: «Noi ci stiamo organizzando e li faremo, ma non capite che il punto è un altro. I positivi viaggeranno sui traghetti insieme a chi ancora non è stato contagiato. Se facciamo i tamponi all’arrivo, molti infettati durante il viaggio non risulteranno già positivi e avranno la falsa sicurezza di non avere il coronavirus. Noi stiamo facendo il massimo, abbiamo 17 drive in che consentono a chi torna dalla Sardegna di effettuare il tampone, anzi invitiamo tutti a farlo. Ma al ministro Speranza l’ho ripetuto: bisogna fare i tamponi prima, in Sardegna, altrimenti quei viaggi si trasformano in un moltiplicatore del contagio e tra due settimane ce ne accorgeremo». C’è anche un’altra ipotesi, ma non semplice da applicare: quarantena per chi torna dalla Sardegna.
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Ma come sta andando al Porto di Civitavecchia? Sbarchi selvaggi e assembramenti inevitabili a bordo.
Solo nella giornata di ieri sono arrivate dalla Sardegna cinque navi (quattro da Olbia, una da Cagliari), tre della compagnia CIN, due della Grimaldi Lines. I passeggeri? In tutto ne sono sbarcati 6.059. In un solo giorno. Le principali criticità si manifestano nelle fasi di imbarco e sbarco, quando l’assembramento è quasi impossibile da evitare. «Manca una struttura portuale adeguata, non ci sono spazi a sufficienza», lamentano le compagnie che in alcuni casi ce la mettono proprio tutta, come nel caso di Grimaldi stessa, fornendo un kit composto da mascherina e guanti, controllando con regolarità la temperatura ai passeggeri con il termoscanner, richiamando gli eventuali “trasgressori” a tenere le distanze di sicurezza durante il viaggio. Non senza incappare in qualche acceso battibecco. «Non è questione di rispetto delle norme, è che dentro al traghetto non ci sono gli spazi», affermano dei ragazzi sbarcati. «Le navi sono troppo piene, di questi tempi non va bene», commentano altri passeggeri. I propositi spesso e volentieri fanno a cazzotti con la realtà. C’è la signora che non vuole lasciare il marito durante l’imbarco e semina il panico fra il personale di bordo, la comitiva di giovani che tenta di sfuggire ai controlli evitando di fare il “check” della febbre. Per non parlare delle operazioni di sbarco, quando si generano assembramenti nell’attesa di scendere, ma anche quando i passeggeri aspettano le navette per la stazione ferroviaria. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino