Da Lampedusa a Reggio Calabria: gli occhi e la pietà

Da Lampedusa a Reggio Calabria: gli occhi e la pietà
Quegli occhi li ho visti. Gli occhi dei disperati che attraversano il Mediterraneo per essere raccolti e salvati e che aspettano di riprendere il percorso nei centri...

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Quegli occhi li ho visti. Gli occhi dei disperati che attraversano il Mediterraneo per essere raccolti e salvati e che aspettano di riprendere il percorso nei centri dell'immigrazione, posti dove vivere è duro, dove un bagno è un lusso condiviso fra decine di esseri umani, adulti e bambini e uomini e donne, senza differenza, dove si sta ammucchiati in camerate che puzzano di sudore e di speranza, dove è capitato che ci si tagli le vene e s'ingoino lamette e pezzi di ferro in cerca di giustizia.


Li ho visti a Manduria e a Kinisia quando montammo le tendopoli nel 2011, li ho visti a Lampedusa il 19 settembre 2011 per l’incendio al centro immigrati di contrada Imbriacola. Un padiglione completamente distrutto, nessun morto per fortuna. Chiusi dentro il giorno dopo, inavvicinabili, più di mille stretti sotto l’ombra di alberi e tettoie per ripararsi dal sole che brucia più del fuoco, disperati aggrappati alle poche cose che hanno, anzi niente. E gli occhi che raccontano le storie. 

Lo scorso 18 maggio stessi occhi, stesso dolore, stesso incendio avviato con facilità dai materassi. Ore di lavoro per riportare la calma, per spegnere le fiamme. E altri occhi, ma questi li conosco, so leggerli, come fu quella notte a Viareggio quando esplosero le ferrocisterne. Sono quelli dei vigili del fuoco. Occhi che leggono altri occhi, sguardi che s’incrociano, che si scambiano emozioni e dolori senza giudizio. La speranza e la paura in quelli che vengono dall'altra parte del mare, di comprensione e misericordia in quelli dei pompieri che li salvano da quest’altra. A volte, perché spesso a noi tocca il peggio, la bruttura di riprendere chi li ha chiusi per sempre. Quanti ne abbiamo stretti, quanti corpi senza vita hanno recuperato i vigili del fuoco, mentre le gole si strangolano e le anime si lacerano. Centinaia, migliaia. 

Penso al barcone del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, quando i nostri sommozzatori s’immersero per primi per andare a recuperare più di trecento corpi intrappolati in un sarcofago sprofondato a meno cinquanta metri sotto il mare. A chi sarà capitato di prendere in braccio il feto appena espulso e ancora legato con il cordone alla madre? Penso a come i vigili del fuoco di Reggio Calabria abbiano restituito la dignità ai migranti morti in mare lo scorso 28 maggio, un intervento senza clamore, senza risalto nelle cronache. È sostanza, non spettacolo, è pietà non propaganda, lavoriamo in silenzio. Seicentosettanta disperati che hanno sfidato la morte, basta tenerli per mano e accompagnarli a terra, per quarantacinque servono invece le imbracature e un’autoscala. Sei uomini tra le vittime, il resto sono donne, tre bambini, uno di pochi mesi. Gole strette e anime che si lacerano. Portati sulla banchina dalle braccia dei vigili del fuoco, capaci di gesti forti, di grande delicatezza stavolta, per la vocazione a considerare chi non ha avuto scampo. Spesso faccio fatica a spiegare questo nostro sentimento, ma salvare una vita umana è un fatto grandioso e recuperare un corpo che l’ha persa e restituirlo a chi lo piange non è da meno. È dignità, quella che i vigili del fuoco reggini hanno restituito ai quarantacinque migranti, uccisi dalla speranza e da chi li ha commerciati senza scrupoli. Uno a uno scorrono fra le braccia forti ma delicate dei pompieri, in due ore sono a terra, tornando a essere uomini e donne e bambini, esseri umani.

Allora scorgo una costante in questa immagine che vedo, che segna la storia del nostro Paese: la pietà dei pompieri, i primi a scendere nelle Fosse Ardeatine, i primi nelle Foibe, gli unici a calarsi nelle fosse comuni che solcano oggi il Mare nostrum. Una linea invisibile che attraversa il tempo e lega, una alle altre, epoche diverse e i loro orrori. Adesso è quello dei migranti che vengono dall’Africa. Le gole serrate e le anime sbranate ancora e per sempre quelle dei vigili del fuoco.
 

* responsabile comunicazione in emergenza corpo nazionale vigili del fuoco Leggi l'articolo completo su
Il Mattino