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Sette ministri, un sottosegretario. In mezzo lei, Giorgia Meloni. Il governo sceglie la mano dura contro la criminalità giovanile. E si presenta in massa, nella sala stampa di Palazzo Chigi, per mettere la faccia sulla stretta delle norme sulle baby gang e la violenza sessuale inserite nel “decreto Caivano” dopo un Cdm fiume durato più di due ore. Misure repressive: dalla pena fino a due anni di carcere per i genitori che non inviano i figli minori alla scuola dell’obbligo all’arresto in flagranza di reato per gli adolescenti sorpresi a spacciare stupefacenti, anche se in piccole quantità. E ancora, l’abbassamento da 9 a 6 anni della soglia della pena che consente di applicare la misura della custodia cautelare e il sequestro del cellulare disposto dal questore per i giovani violenti.
IL GIRO DI VITE
Poi c’è la prevenzione, il cuore di questo decreto nato sulla scia della cronaca, le violenze a Caivano e Palermo, la criminalità precoce che «si sta estendendo a macchia d’olio», dice la premier denunciando una «situazione sfuggita fuori controllo». Di qui le misure pensate per frenare in anticipo l’escalation di violenza «che in questi giorni vede protagonisti tutti ragazzi giovanissimi». Tra queste c’è l’ammonimento dei genitori dei ragazzi dai dodici anni in su da parte del questore. E se dal pacchetto rimane fuori il divieto di accesso ai siti porno per i minori ventilato alla vigilia, «non considero giusto intervenire per decreto», spiega Meloni, resta la promessa, scandita dalla ministra per la Famiglia Eugenia Roccella, di rendere gratuito su tutti i dispositivi il parental control. Dopo il segnale inviato dalle forze dell’ordine con i raid a Roma e Caivano il governo passa ai fatti.
LA TARA
Alla fine per il decreto si è fatta una tara. Lasciando fuori qualcuna delle idee messe sul tavolo. Come quella avanzata dalla leghista Erika Stefani, nel silenzio degli altri ministri, di ricorrere al «riconoscimento facciale» per i giovani criminali. O ancora il blocco dei siti porno studiato da Roccella su cui Nordio nutre perplessità. Tra i leghisti, c’è invece chi avrebbe voluto abbassare da 14 a 12 anni l’età minima per l’imputabilità. «Non se ne è parlato in maggioranza», smentisce però Meloni. La premier cerca fino all’ultimo di frenare gli eccessi securitari dei suoi alleati. Ma una volta uscita da un lunghissimo Cdm ed entrata in una conferenza stampa ancora più lunga, «scusate,è una maratona Telethon..», mette la firma sul decreto. «Per non penalizzare i minori li abbiamo esposti di più ai rischi», riflette. Da madre, confessa, è colpita dall’emergenza educativa nelle famiglie. «Ho scoperto che per chi non manda propri figli a scuola la pena è di 30 euro, una volta sola. Ora si rischieranno due anni di carcere e la potestà genitoriale. In Italia c’è l’obbligo scolastico e deve esser garantito».
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