Le campane invece della voce del muezzin. Il crocifisso invece del mihrab. La domenica invece del venerdì. Non deve essere facile, per un credente musulmano, aderire...
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Ieri c'è stata un'anteprima in Francia e i numeri non sono esaltanti. Nel centro di Lione, città di mezzo milione di abitanti con 50mila islamici, alla marcia della fratellanza convocata dai leader religiosi e da associazioni laiche hanno preso parte appena 400 persone e il corteo si è sciolto dopo poco più di un'ora. Non un flop: il valore simbolico dell'iniziativa resta; ma di certo non è stata un'iniziativa di massa. A Bordeaux, 400 persone hanno partecipato alla messa vespertina, dove il sacerdote ha invitato l'assemblea «a raccogliersi, qualunque sia la sua fede e convinzione». A Sainte Thérèse, la seconda chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, la messa delle 18 ha attirato 300 persone. Tuttavia è come se, nel profondo, la comunità musulmana francese non la pensasse in modo molto diverso da quella che vive in Arabia Saudita, la quale - almeno secondo i sondaggi d'opinione - al 92% ritiene che l'Isis «rispetta i dettami dell'Islam» e abbia quindi le sue buone ragioni nel provare a imporre la legge islamica, la sharia.
In Italia il clima non è diverso. Le iniziative in campo sono già di per sé simboliche e non di massa come quelle annunciate (o auspicate) in Francia. E anche tra gli imam si registrano forti divisioni. A Torino, a Roma (ma la Grande Moschea della capitale ci sarà), a Napoli alcuni dei capi spirituali prendono le distanze dall'appello della Coreis (Comunità religiosa islamica italiana) e della Cii (Comunità islamica italiana). In particolare a Torino, dove l'Associazione islamica delle Alpi è più radicata della Coreis, pochi imam hanno aderito all'appello. Il presidente dell'Associazione islamica, il marocchino Brahim Baya, ha fatto sapere che non parteciperà perché preferisce mostrare in altri modi la sua vicinanza ai cattolici colpiti dall'assassinio di padre Hamel.
Le autorità cattoliche, però, cercano il dialogo a dispetto delle difficoltà, in linea con le parole di Papa Bergoglio. Il presidente della Cei (Comunità episcopale italiana) Angelo Bagnasco ieri lo ha detto senza perifrasi: «Siamo molto grati per questa risposta pronta, tempestiva e chiara». E però ha aggiunto, con evidente riferimento alla spaccatura in seno al mondo islamico: «Spero che facciano sentire la loro voce in modo unitario al di là delle differenze presenti nella loro realtà. Se continuano su questa strada si potrà creare un vero isolamento attorno a questi fanatici omicidi». Secondo l'arcivescovo di Genova, quello che sta accadendo in Europa, «non è una guerra di religione, perché l'Islam ha dimensione moderata. Esistono poi frange omicide, che devono essere condannate dallo stesso mondo musulmano, perché quello che l'Occidente può fare è meno efficace, la voce più importante è quella musulmana. Non può essere accolta la strategia di chi vuole fare il salto di qualità per indurre il mondo a pensare che ci sia una guerra di religione». Che la guerra ci sia, in effetti, è difficile negarlo. Ma è una guerra che si nutre, piaccia o no a Bagnasco, di una visione religiosa del mondo. Per sradicarla, non basterà una messa. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino