Il dossier-scandalo che a pochi giorni dall'insediamento alla Casa Bianca imbarazza e fa infuriare Donald Trump sarebbe nato dall'iniziativa di un ricco e influente...
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Tutto materiale potenzialmente esplosivo che rappresenterebbe una formidabile arma di ricatto nelle mani del Cremlino. Mentre il numero uno dell'intelligence Usa replica alle accuse del presidente eletto: «Non siamo noi dietro alla fuga di notizie sul rapporto top secret», afferma James Clapper. Intanto il nuovo capo del Pentagono, l'ex generale James Mattis, corregge il tiro su Mosca rispetto alla retorica da campagna elettorale di Trump, definendo la Russia di Vladimir Putin attualmente la più grande minaccia per la Nato. Parole in linea con quelle del prossimo capo della Cia, Mike Pompeo, secondo cui Mosca dovrebbe anche essere ritenuta responsabile per la sua intrusione nella processo elettorale americano. Anche il neo segretario di Stato, Rex Tillerson, ha parlato della Russia come di un pericolo dopo l'invasione della Crimea. Tutte parole che il Cremlino liquida come «isteria». L'attenzione a Washington è però tutta concentrata in queste ore sul contenuto del dossier-scandalo sul neo presidente. Si tratta di una decina di memo di poche righe l'uno, accuratamente preparati tra giugno e dicembre 2016 dall'ex spia britannica Cristopher Steele, di cui non si ha più traccia da giorni. Dossier che è nelle mani di Fbi e 007 Usa e che presenta in appendice la sintesi presentata la scorsa settimana a Trump, Barack Obama e ai leader del Congresso. Il colpo di scena dell'ultim'ora è che ad innescare la vicenda non sarebbero stati oppositori democratici del tycoon, ma ambienti repubblicani decisi a ostacolare in tutti i modi la campana elettorale di Trump. Così il ricco finanziatore del Grand Old Party - di cui il Nyt non fa il nome - è stato il primo a commissionare la raccolta di dati sui presunti legami tra il tycoon e la Russia, nel settembre 2015.
L'incarico fu dato a un'impresa di ricerca di Washington, la Fusion Gps, guidata da un ex giornalista del Wall Street Journal, Glenn Simpson.
Il Mattino