È finita. Tre mesi di processo, una valanga di dettagli a dir poco inquietanti, fiumi e fiumi di droga riversati dal Messico negli Stati Uniti, 10 rinvii a giudizio e...
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La leggenda del “re dei narcos” giunge dunque al suo ultimo capitolo. Per la pena bisognerà attendere fino a giugno, ma il destino di uno dei più pericolosi criminali della storia è già segnato.
Una vicenda che va ben al di là di qualsiasi copione cinematografico, addirittura di qualsiasi immaginazione: contrabbando internazionale, corruzione delle autorità messicane, fughe rocambolesche, aerei privati infarciti di milioni e milioni di dollari in contanti, armi, torture e omicidi. Una menzione a parte la meritano gli stupri per i quali pare che El Chapo fosse persino famoso tra i suoi. Violenze operate a danno di ragazzine, poco più che tredicenni, che era solito chiamare le sue “vitamine”.
Un quadro ricostruito attraverso un fitto e accurato reticolato di testimonianze che non hanno soltanto chiarito e inchiodato il percorso del boss, ma che hanno fatto luce sulla brutale maniera di operare dei cartelli latinoamericani della droga.
Cartelli che, a dispetto del crollo del 61enne finalmente assicurato alla giustizia, continuano ad operare per mano dei suoi figli e dei suoi fedelissimi.
Basti pensare che tra il 2016 e il 2017, periodo al quale risale la cattura del “Chapo” (del “piccoletto”, è alto 1 metro e 67 centimetri, ndr) lo smercio di eroina messicana negli Usa è aumentato del 37% e quello del Fentanyl, un oppioide sintetico 100 volte più potente della morfina in grado di uccidere anche con una sola inalazione, è più che raddoppiato.
Guzmán resta dietro le sbarre, dunque. Ma la missione della DEA, l’agenzia federale antidroga statunitense, è tutt’altro che compiuta.
Il Mattino