Elena Bonetti ministro per la Famiglia: «Basta violenza sulle donne, più risorse e sentinelle»

Elena Bonetti ministro per la Famiglia: «Basta violenza sulle donne, più risorse e sentinelle»
«Prevenire, prima di tutto occorre prevenire». La ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti ha trascorso il pomeriggio di ieri in provincia...

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«Prevenire, prima di tutto occorre prevenire». La ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti ha trascorso il pomeriggio di ieri in provincia di Napoli, a Ercolano prima e Afragola poi, per tagliare il nastro di due centri antiviolenza. Una doppia iniziativa programmata da tempo, ma divenuta simbolica a due giorni dalla morte di Ylenia Lombardo, giovane madre uccisa a San Paolo Bel Sito da un corteggiatore respinto. «Bisogna dare alle donne - dice Bonetti - ogni opportunità per chiedere aiuto. E, subito dopo, per ottenerlo. Tragedie come questa sono spesso l'epilogo di percorsi di solitudine, noi dobbiamo restituire speranza a quella solitudine».

Ministra Bonetti, chi deve interrogarsi di più di fronte all'ennesimo femminicidio: lo Stato, le forze dell'ordine, il territorio?
«Ovviamente questa è una piaga che impegna la responsabilità di tutti. Una risposta, la più immediata e concreta, sta nei luoghi come questi appena inaugurati a Ercolano e Afragola. I centri antiviolenza, luoghi di contrasto e di accompagnamento delle donne vittime di violenza e di ogni forma di prevaricazione e di discriminazione, stanno già rappresentando un riferimento determinante, e sempre di più saranno chiamati a esserlo. È nel territorio, nella sinergia tra persone e organismi chiamati a fare rete, che si deve continuare a lavorare. Sapendo bene che azioni di repressione in questo ambito non bastano, anche se sono altrettanto importanti».

La maggiore severità della legislazione, i nuovi profili di reato introdotti dalla legge Codice rosso, in effetti, non sembrano aver tolto la voglia agli uomini violenti.
«Oltra all'inasprimento delle pene sono essenziali gli strumenti procedurali che velocizzano le indagini, l'allontanamento della persona violenta e l'avvio delle misure di protezione della vittima. Altrettanto determinante è il lavoro di sinergia tra le forze dell'ordine e la comunità locale, i Comuni, le associazioni: tutte le sentinelle che hanno antenne sul territorio, le prime chiamate ad agire subito».

Risulterà anche a lei, però, che queste sentinelle hanno di solito l'acqua alla gola: spesso sono proprio i centri antiviolenza i primi servizi sociali a saltare, nei Comuni con i bilanci in rosso. Non le sembra un controsenso?
«Per questo intendo promuovere un'iniziativa di legge che renda strutturali il piano antiviolenza triennale e lo stanziamento di risorse: va garantita continuità al funzionamento dei centri antiviolenza, delle case rifugio e di tutte le iniziative necessarie anche a realizzare l'affrancamento economico della donna vittima di violenza, a offrirle cioè una possibilità concreta di ricostruzione del suo percorso di vita. Questi interventi devono essere strutturali e godere di risorse strutturali, indipendenti cioè dalle contingenze della politica».

Ylenia, sfuggita a un marito violento, è stata poi uccisa da un uomo psicologicamente fragile, da tempo in cura presso un Centro di igiene mentale e sottoposto a un Tso. Ora qualcuno parla dell'ennesima morte annunciata: cosa non ha funzionato?
«Il caso di questa giovane donna, come tutte le storie delle donne vittime di violenza, chiede che le maglie della rete di protezione e di sostegno siano ancora più rafforzate. Serve un lavoro di sinergia e regia territoriale che coinvolga amministrazioni, servizi sociali e sanitari, forze dell'ordine e associazioni. Ma dobbiamo puntare anche sull'emancipazione economica delle donne».

In che modo?


«Investendo in lavoro femminile e potenziando strumenti come il reddito di libertà e il microcredito di libertà. Un assegno per sostenere la vita della donna e dei suoi figli lontano dal compagno violento, ma anche accesso facilitato al credito, coperto al 100 per 100 dallo Stato, per consentirle di intraprendere percorsi lavorativi autonomi. Troppe donne continuano a sopportare e a subire la violenza perché dipendenti dal punto di vista economico. Non è più accettabile».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino