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«Io avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa, tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito. Purtroppo questo non è stato possibile e ho dovuto venire qui, da sola. Io adesso mando un saluto a tutti quelli che mi hanno voluto bene e mi vogliono bene. Ciao». Sono le parole con cui si conclude l’ultimo videomessaggio di Elena, una donna di 69 anni di Spinea (Venezia), una paziente oncologica che ieri è ricorsa al suicidio assistito in una clinica di Basilea, dove era arrivata il giorno prima, accompagnata da Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. Elena, nel videomessaggio che ha preceduto le ultime ore della sua vita, ha raccontato: «Circa un anno fa, ho avuto la diagnosi di microcitoma polmonare. Il tumore era già di dimensioni importanti». I medici le dissero che avrebbe avuto poche possibilità di guarire. Elena scelse di combattere. «Anche se le possibilità erano poche, ho ritenuto che valesse la pena tentare. Il tentativo non è costato poco psicologicamente e fisicamente. Ma l’ho fatto e l’ho portato a termine».
Purtroppo le cure non hanno funzionato e i medici hanno spiegato ad Elena che la situazione sarebbe divenuta sempre più pesante. «Mi sono trovata davanti ad un bivio. Una strada più lunga che mi avrebbe portato all’inferno, una più breve che poteva portarmi qui in Svizzera, a Basilea: ho scelto la seconda». Ieri mattina, raccontano all’associazione Luca Coscioni, per i suoi ultimi istanti di vita, ha chiesto di ascoltare Ballade pour Adeline, di Richard Clayderman. Quando per la prima volta aveva manifestato pubblicamente la sua volontà di ricorrere al suicidio assistito, per ragioni di privacy aveva indicato, come nome di fantasia, proprio Adeline. Poiché in Italia la scelta di Elena non sarebbe stata consentita e poiché non voleva che la figlia e il marito avessero poi guai di tipo giudiziario, ha chiesto aiuto a Marco Cappato.
Restano le parole di Elena, che risuonano nel videomessaggio: «Sono sempre stata convinta che ogni persona debba decidere sulla propria vita e debba farlo anche sulla propria fine, senza costrizioni, senza imposizioni, liberamente, e credo di averlo fatto, dopo averci pensato parecchio, mettendo anche in atto convinzioni che avevo anche prima della malattia». Ancora: «Ho deciso di terminare la mia vita prima che fosse stata la malattia, in maniera più dolorosa, a farlo. Io ho parlato con la mia famiglia, ho avuto la comprensione e sostegno». La vicenda di Elena scuote le coscienze perché nel video appare come una donna lucida e autonoma, anche se, come fa notare in una nota l’Associazione Luca Coscioni, «un’attesa ulteriore avrebbe potuto determinare altre sofferenze e peggioramenti vista la progressione della malattia già in fase avanzata».
Ma ci sono state altre storie, nelle ultime settimane, a richiedere una riflessione su questo tema così drammatico e divisivo. Stefano Gheller, 49 anni di Cassola (Vicenza), è affetto dalla nascita da una grave forma di distrofia muscolare. Ha chiesto di attivare con urgenza la procedura prevista per l’accesso legale al suicidio medicalmente assistito anche se ha chiarito: «Io non desidero morire in questo istante, ma voglio avere il diritto di farlo appena sentirò che è arrivato il momento». Federico “Mario” Carboni poche settimane fa è stato accompagnato ad una «dolce morte» dopo aver ottenuto il via libera dal Comitato etico dell’Azienda sanitaria delle Marche. Antonio, 44 anni, tetraplegico dal 2014, secondo la Commissione medica «possiede tutti i requisiti per accedere al suicidio assistito», manca il parere sul tipo di farmaco da utilizzare.
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Il Mattino