Fondatore e direttore del Cise (Centro italiano studi elettorali), il professore Roberto D’Alimonte, docente di Scienze politiche alla Luiss di Roma, ha avviato uno...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Fatta questa premessa, però, per analizzare i possibili risultati del prossimo appuntamento elettorale, bisogna partire comunque dai dati dei sondaggi conosciuti, che danno il centrodestra vincente con il 37 per cento dei consensi. Spiega, partendo da questo dato, il professore D’Alimonte: «Ritengo che non esistono possibilità che il Movimento 5 stelle ottenga da solo la maggioranza assoluta dei seggi. E allora ragioniamo su ciò che può essere probabile, partendo da quel 37 per cento assegnato al centrodestra».
Chi aspira a governare deve ottenere almeno 316 seggi alla Camera. Calcolando il 40 per cento di voti proporzionali, il centrodestra dovrebbe ottenere il 70 per cento di voti uninominali per raggiungere la maggioranza. È una «simulazione matematica sulla base dell’attuale sistema elettorale», spiega il fondatore del Cise. Poiché i sondaggi conosciuti assegnano al Movimento 5 stelle il 28 per cento dei consensi e al centrosinistra il 27, l’analisi del docente si concentra sulle possibilità di successo del centrodestra.
«La coalizione di Berlusconi può arrivare alla maggioranza dei seggi, vincendo con almeno il 70 per cento dei seggi uninominali e ottenendo il 40 di quelli proporzionali - spiega D’Alimonte - Ipotesi di non facile realizzazione. Se partiamo dal 37 per cento assegnato oggi dai sondaggi al centrodestra, questo significa 146 seggi proporzionali. Ne restano da ottenere 170 su 232 nel maggioritario. La domanda da porsi, allora, è dove il centrodestra possa prenderli. Ne prenderà molti al nord, pochi nelle regioni della ex zona rossa e a questo punto, per arrivare alla maggioranza assoluta dei seggi, dovrà fare il pieno nei collegi uninominali del sud dove, in pratica, ne dovrebbe vincere tra l’80 e il 90 per cento».
E ancora, analizzando quanto potrebbe verificarsi nei collegi meridionali: «Visto che in quest’area del Paese il Movimento 5 stelle è molto forte questo obiettivo sembra difficilmente raggiungibile».
Il ragionamento seguito dal direttore del Cise parte da un’ipotesi probabile di seggi assegnati. Al nord, ad esempio, «con molta generosità», si può pensare a 80 seggi sui 91 disponibili. Al centro, nelle tradizionali regioni ex rosse, «in maniera realista» a 5 seggi su 40. Mancano, per arrivare ai 170 necessari, ancora 85 seggi che il centrodestra dovrebbe prendere al sud che in totale ne assegna 101. Può riuscire ad ottenerli la coalizione di Berlusconi?
Tutto dipenderebbe dall’esito degli scontri diretti sull’uninominale contro la coalizione del centrosinistra e il Movimento 5 stelle. Su questo, diventa determinante il peso dei singoli candidati. Si chiede il direttore del Cise: «Quindi la partita si giocherà al sud e dipenderà dal comportamento di voto dei potenziali elettori del Movimento 5 stelle. Voteranno la lista del movimento, pur non riconoscendosi nei candidati del movimento, o voteranno candidati a loro più familiari, ma collegati alle liste di centrodestra o di centrosinistra? Insomma, l’elettore voterà il marchio 5 stelle anche senza conoscere il candidato, o l’esponente noto delle altre coalizioni?». Quesito aperto.
Resta aperto, però, anche il tema della governabilità post-voto, con il Movimento 5 stelle che annuncia di non voler allearsi con nessuno, «anche se Di Maio non è Grillo e ha voglia di portare il suo partito al governo». Sia Renzi sia Berlusconi annunciano che non faranno alcuna intesa tra loro dopo le elezioni. Su questo, però, il direttore del Cise è scettico: «Prevedo un brutto spettacolo post-elettorale, con coalizioni elettorali che si scomporranno dopo il voto per dar vita ad aggregazioni di partiti diverse da quelle votate dagli elettori».
Sicuramente, avrà influenza determinante il peso dei singoli parlamentari che, mai come stavolta, «appaiono scelti con criteri di maggiore fedeltà ai loro capi rispetto al passato». Candidature blindate, omogenee alla maggioranza interna alle coalizioni. E, conclude il professore D’Alimonte: «Molti pensano che, in caso di ingovernabilità, si debba tornare a votare di nuovo. Questo è quello che hanno detto sia Renzi sia Berlusconi. Io credo che non sarà così scontato, visto l’interesse dei deputati e senatori neoeletti a conservare il seggio. E questo atteggiamento potrebbe favorire operazioni trasformistiche che abbiamo già visto tante volte nel nostro Parlamento». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino