Tra pochi giorni, saranno passati esattamente 35 anni. Era il 22 giugno quando spariva nel nulla Emanuela Orlandi, la figlia di un dipendente del Vaticano. Anni di indagini,...
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Venerdì 22 giugno, alle 18.30, si terrà un sit-in a piazza Giovanni XXIII: «Vorremmo arrivare anche a piazza San Pietro per ricordare Emanuela “a casa sua”», confida Pietro spiegando che il Vaticano deve dare ancora l'autorizzazione. La famiglia Orlandi ha presentato lo scorso novembre, per la prima volta alla Gendarmeria Vaticana, la denuncia di scomparsa di Emanuela. «Il fascicolo è aperto ma da allora non è stato fatto niente, non è stato interrogato nessuno», denuncia l'avvocato Laura Sgrò, legale di Pietro Orlandi.
Emanuela Orlandi, che oggi avrebbe cinquant'anni, scompare verso le 19 del 22 giugno 1983, dopo essere uscita da una scuola di musica. La ragazza è la figlia quindicenne di un messo della prefettura della Casa pontificia ed è cittadina del Vaticano. A maggio era già scomparsa un'altra ragazza romana, Mirella Gregori e i due casi per qualche tempo furono collegati. Tornando al caso di Emanuela Orlandi, quella che sembrava la comune scomparsa di una adolescente si trasforma in un “giallo” internazionale che coinvolge in pieno il Vaticano. Il presunto rapimento finisce infatti per intrecciarsi anche con l'attentato di Agca contro Papa Wojtyla. Il Papa interviene con diversi appelli. La presenza di Emanuela, negli anni, è poi segnalata in diverse località ma le rivelazioni non risultano mai attendibili. Senza elementi, la prima inchiesta viene chiusa nel luglio 1997. Poi la banda della Magliana, che spesso era stata tirata in ballo nella vicenda, rientra in primo piano a giugno 2008 con le dichiarazioni di Sabrina Minardi, compagna di Enrico De Pedis, uno dei capi della banda. Emanuela Orlandi sarebbe stata uccisa dopo essere stata tenuta prigioniera nei sotterranei di un palazzo vicino all'Ospedale San Camillo. Ma neanche su questa pista emergono prove concrete.
Nel 2016 l'archiviazione dell'inchiesta da parte della Procura di Roma, confermata dalla Cassazione. Ma la famiglia va avanti: «Vogliamo risposte sulla trattativa che c'è stata negli anni scorsi tra il magistrato Giancarlo Capaldo e il Vaticano a proposito della consegna di un fascicolo su mia sorella Emanuela, una trattativa che non è stata mai smentita», insiste Pietro. Infine il fratello Pietro racconta: «Pochi giorni dopo la scomparsa di Emanuela monsignor Giovanni Battista Morandini disse a mio padre che la vicenda preoccupava lo Stato, e c'era un invito a non aprire in Vaticano una falla che difficilmente si sarebbe potuta chiudere. Ecco, penso che la decisione del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone di archiviare l'inchiesta giudiziaria è un proseguimento di quelle parole. Altrimenti non mi spiego tutto questo silenzio che dura da 35 anni». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino