Eutanasia, il prete che accompagna i malati: la Chiesa deve esserci

Per lui, prete e teologo, l’accompagnamento verso la morte è un dovere pastorale. Ed anche se «sul piano etico non si è d’accordo con...

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Per lui, prete e teologo, l’accompagnamento verso la morte è un dovere pastorale. Ed anche se «sul piano etico non si è d’accordo con l’eutanasia, ciò non significa che la Chiesa non debba essere presente sull’ultima frontiera dell’esistenza di un uomo».


Gabriel Ringlet ha settantadue anni, è un teologo belga, per venti anni vicerettore dell’Università Cattolica di Lovanio. Lavorando in corsia accanto a quanti scelgono il suicidio assistito non poche volte ha verificato il cambio d’idea degli ammalati sul punto di scegliere la strada dell’eutanasia. Lui sostiene: «Non sono assolutamente a favore della eutanasia. Ma dico che ci sono delle situazioni di sofferenza, talmente estreme, che non v’è altra soluzione. In queste condizioni può aiutare anche una liturgia rituale». E spiega: «Prendo allora la parola, chiedo a ciascun presente se vuole dire qualcosa. Si può suggerire una preghiera, la lettura di una poesia, una unzione di olio». Ma questo accompagnamento spirituale rispetto anche al più recente magistero della Chiesa di Papa Francesco che giudica l’eutanasia un «atto gravissimo» non rischia di produrre nella pastorale una sorta di giustificazione alla dottrina sulla sacralità della vita? 

Proprio domani padre Gabriel sarà al convento domenicano di Santa Maria de La Tourette ad Eveux, in Francia a parlare di come «accompagnare all’eutanasia». 

«Compassione», è un termine che ricorre spesso nell’ultima esortazione post-sinodale sulla famiglia in cui si afferma che «nessuno può essere abbandonato». Anche chi sceglie volontariamente di mettere fine alla propria vita? «Sarà il singolo sacerdote a decidere come e se concedere i sacramenti a coloro che chiedono l’eutanasia» hanno già deciso i vescovi del Canada atlantico, con un documento pubblico, in una regione orientale del grande Paese nordamericano. E il documento lo hanno fatto in nome dei passaggi dell’Amoris Laetitia.

Padre Gabriel Ringlet è dello stesso avviso. Tutto cambiò nella sua esperienza di prete e teologo quando in giorno gli capitò di essere chiamato da una dottoressa dell’ospedale cattolico Saint-Pierre d’Ottignies, a pochi chilometri da Lovanio. Lo chiamò per comunicargli che si trovava di fronte alle richieste di eutanasia da parte di pazienti cattolici. Lui accettò di andare in ospedale per «accompagnarli spiritualmente». Poi trasferì in un libro l’esperienza. 

«Mi sdraierete nudo sulla terra nuda», fu il titolo del libro che in queste ore incrocia nuovamente l’attualità. «In quelle pagine – racconta padre Ringlet – descrissi in maniera molto dettagliata la storia di un’anziana suora carmelitana, con 60 anni di vita contemplativa, che mi chiese l’eutanasia alla fine non praticata perché si addormentò dolcemente». Lui spiega: «Quando si ascoltano le persone fino in fondo, con un ascolto però incondizionato, senza giudizio, con la promessa di non abbandonare mai, l’eutanasia alla fine non viene praticata. Non sono assolutamente a favore della eutanasia. Ma dico che ci sono delle situazioni di sofferenza, talmente estreme, che non v’è altra soluzione. Sono emozioni terribilmente forti, per tutti. Non ho mai visto un medico compiere un’eutanasia senza esserne profondamente sconvolto. Ogni situazione è unica. Mai fare regole generali, mai fare militanza. Non c’è alcun senso. Semplicemente esserci». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino