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L’ex attrice hard Eva Henger e il marito e produttore cinematografico Massimiliano Caroletti si sono presentati lunedì mattina, mano nella mano, nell’aula Occorsio del tribunale penale di Roma, per essere sentiti come testimoni nel processo a carico di una trentina di imputati accusati di associazione a delinquere finalizzata all’usura e all’estorsione, con l’aggravante del metodo mafioso. Secondo i pm della Dda capitolina, Caroletti e il suo consulente fiscale Luca Piferi erano stati minacciati da Francesco Sirica (detto “O’ Pazz”, come il più famoso Michele Senese). Per saldare un debito da 400mila euro, il produttore romano è stato «costretto a versare somme di denaro, derivanti dalla cessione di diritti cinematografici della società Babilonia Play srl» e dalla vendita della fiction “Roma nuda”, nonché le quote di un night club intestato alla pornodiva e un appartamento sulla Cassia di proprietà della consorte.
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LE TESTIMONIANZE
I coniugi Caroletti, sentiti sotto giuramento, hanno spiegato ai giudici di non essere stati minacciati, né di aver subito pressioni estorsive. Tant’è vero che non si sono costituiti parte civile nel processo. In particolare, il produttore cinematografico ha ripercorso in aula la vicenda in questi termini: «Uno degli imputati mi aveva prestato denaro per produrre un film.
Anche Eva Henger si è mantenuta sulla stessa linea del marito. Ha spiegato che in quel periodo si erano trasferiti in Ungheria, ma per altre ragioni, legate allo stato di salute di sua madre. Insomma, non per scappare da Roma e dai creditori malavitosi.
«FINIRÒ AL CIMITERO»
Eppure, nelle intercettazioni captate dai finanzieri del Gico nell’operazione “Luna Nera”, i timori di Caroletti lasciano pochi dubbi: «Lo so che finirò al cimitero», si sfogava con il suo consulente quando un servizio televisivo delle “Iene” stava rischiando di rovinare la promozione del film che, in caso di successo, sarebbe servito per ripianare i debiti. «Se non pagano li ammazzo tutte e due», diceva invece uno dei boss, riferendosi al produttore e alla consorte Eva Henger, contraria alla cessione dei diritti. Dalle intercettazioni, il legame con i clan è chiaro. Il nome di Senese veniva utilizzato per incutere timore. «È mio parente, non si deve scherzare», ammoniva Luigi Buonocore intercettato. «Stiamo parlando del capo di Roma! Il boss, comanda tutto», conferma Alessandro Presutti.
Il gruppo raccoglieva «oboli» per il sostentamento dei membri del clan campano, accompagnando le donazioni con un bigliettino firmato, perché i Senese potessero sapere di poter contare su di loro. Il clan dei calabresi gestiva invece il recupero dei crediti. Avrebbe anche messo a disposizione un presunto killer delle cosche per terrorizzare le vittime. Gli inquirenti avevano recuperato un «libro mastro della droga», riferibile alla famiglia Fabietti, che gestisce parte del narcotraffico a Tor Bella Monaca.
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