Fase 2, cosa fare se il contagio riparte? Il virologo Palù: «Non potremo richiudere tutto, sarebbe la morte dell'economia»

Fase 2, cosa fare se il contagio riparte? Il virologo Palù: «Non potremo richiudere tutto, sarebbe la morte dell'economia»
L'Italia è in piena fase 2 dell'emergenza coronavirus e i dati per ora confortano. Ma se riparte l'epidemia, si dovrà chiudere di nuovo? «Non...

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L'Italia è in piena fase 2 dell'emergenza coronavirus e i dati per ora confortano. Ma se riparte l'epidemia, si dovrà chiudere di nuovo? «Non possiamo permettercelo, sarebbe la morte economica», ammonisce in un'intervista a La Verità Giorgio Palù, virologo che ci tiene a definirsi così «di fronte a tanti sedicenti tali che non ho mai conosciuto». Vari «personaggi da talk show che parlano l'uno contro l'altro senza avere mai pubblicato un lavoro su una rivista di virologia». L'esperto, che è stato presidente della Società europea di virologia, nonché fondatore e presidente della Società italiana di virologia, riflette sul primo lockdown e conferma che andava fatto: «La riprova è la diminuzione di casi. Era un virus nuovo, pandemico», mentre «nessun coronavirus conosciuto è mai stato pandemico», ricorda. Sottolineando anzi che sulla chiusura di marzo si è perso tempo: «Per 20 giorni - osserva - i nostri politici hanno discusso se mettere in quarantena i cinesi, ma non si poteva farlo per non discriminarli come i migranti. Hanno chiuso i voli dalla Cina, ma nessuno ha voluto controllare gli europei che tornavano da laggiù. Il buonismo ci ha condannati», dice il virologo.


Se Covid-19 rialzerà la testa non potremo tornare al lockdown, ribadisce Palù, ma sarà necessario «avere prudenza e tracciare i contatti. Quando si scopre un positivo bisogna risalire a chi è venuto in contatto con lui non per chiudere altre zone rosse, ma per isolare immediatamente queste persone». A casa «o in qualche albergo vuoto. Non certo negli ospedali - puntualizza - come ha fatto la Lombardia che ha ricoverato il 70% dei positivi contro il 20% del Veneto. Il modello - insiste - è avere presidi territoriali, controlli, tracciabilità, un sistema epidemiologico regionale in grado di raccogliere i dati dai presidi di igiene e sanità locali, dai medici di medicina generale o del lavoro, dalle industrie».

 

«Bisogna avere una sorveglianza biologica», continua l'esperto. «In Veneto c'è già stato un trial con una decina di industrie e la percentuale di positivi non ha mai superato l'1%. Significa che i nostri industriali sono molto accorti in quello che fanno», evidenzia, avvertendo tuttavia come - a parte gli anziani che restano i più vulnerabili - i più esposti a un nuovo contagio sono «i lavoratori, a partire dai medici. Molti ne sono stati veicoli inconsapevoli, lavorando senza protezioni. È stata una grave ignoranza», commenta Palù. «Colpevole - aggiunge - perché la Sars ci aveva insegnato come circolano i coronavirus». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino