Il professor Massimo Galli, direttore di Malattie infettive dell'Ospedale Sacco di Milano, non lo nega: gli elementi di rischio nell'apri tutto di oggi esistono, anche al...
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Cosa dobbiamo temere?
«Ci deve preoccupare il fatto che molte persone si siano chiuse in casa, l'8 marzo, con l'infezione. E l'hanno trasmessa in famiglia. Sappiamo che i positivi sono dieci volte tanto quelli trovati. Ora tutti usciranno di casa, senza avere una diagnosi definita e precisa. E questo potrebbe far aumentare il numero dei contagiati. Se ogni giorno vediamo molti casi in Lombardia è perché finalmente molte persone stanno ottenendo un tampone, non sono nuove infezioni, ma la coda di quello che non si è visto».
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Scusi: siamo rimasti in casa due mesi e mezzo, come è possibile che non si sia riusciti interrompere la catena del contagio?
«Questa è una bella domanda, però la faccia a qualcun altro. A chi avrebbe dovuto organizzare e pensare questo tipo di intervento. Molte delle persone che si sono chiuse in casa, e magari molte di loro non stavano bene, avrebbero desiderato una vicinanza differente. E l'unico strumento diagnostico che funziona è il tampone. Non faccio previsioni su cosa potrà succedere in questi giorni: dico che negli ultimi giorni abbiamo avuto una pressione sugli ospedali bassissima e abbiamo ricoverato pochissimo. E questo è un segnale importante. Deve però essere chiara una cosa: non sarà facile riaprire con una epidemia ancora in corso».
Non sarebbe stato più prudente, prima dell'apri tutto, studiare bene gli effetti delle prime aperture del 4 maggio?
«Dal punto di vista strettamente tecnico e scientifico, sì. Dal punto di vista della necessità di ripresa no. Le due cose andavano conciliate. La convivenza con questo virus sarà lunga, bisognava ripartire».
Scusi, professore: va bene, non sono stati eseguiti sufficienti tamponi e nelle famiglie l'isolamento non ha sempre funzionato. Ma dopo due mesi e mezzo il periodo di infezione dovrebbe essersi comunque concluso.
«Io ho ancora qualcuno che è positivo al tampone dal 28 febbraio, ci sono persone che hanno lunghissimi tempi di eliminazione del virus. Per questo bisogna fare molta attenzione». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino