Nascerà nel 2020 e sarà figlio naturale e biologico di un padre morto nel 2019 che lo aveva concepito 4 anni prima. La storia, raccontata dal nuovo Quotidiano di...
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Emma, la bimba nata da un embrione congelato 25 anni fa, quando la mamma aveva solo un anno
Tutto era cominciato nel 2014 quando la coppia salentina di quarantenni aveva deciso di dare un fratellino o una sorellina al loro unico figlio. La gravidanza, però, non arrivava. E così i due avevano iniziato un impegnativo ciclo di cure decidendo, nel 2015, di affidarsi ad un centro per la procreazione medicalmente assistita (Pma) dove furono crioconservati due embrioni fecondati con il liquido seminale del marito.
La battaglia contro il tumore dell'uomo è stata dura ma nonostante tutto i due, tra un ciclo chemioterapico e l'altro, non hanno mai abbandonato il loro sogno continuando ad interloquire con la clinica dove erano conservati gli embrioni programmando quindi una prossima gravidanza indotta. Agli inizi del 2019 la malattia ha sopraffatto tutti. Dopo la morte del marito a donna ha cominciato a battersi per mantenere fede alla promessa fatta al marito così si è rivolta alla clinica dove ha dovuto scontrarsi contro il muro della burocrazia: pur avendo firmato tutti i consensi possibili prima di morire, il laboratorio non poteva procedere all'impianto senza il permesso di un giudice. Per la donna è così iniziata la nuova battaglia e si è rivolta all'avvocatessa Rizzo.
Il nodo da sciogliere per la professionista era rappresentato dal superamento dell'articolo 5 della legge sulla procreazione assistita secondo cui «possono accedere alle tecniche di procreazione assistita coppie maggiorenni entrambi viventi».
Per superare questo ostacolo apparentemente insormontabile, l'avvocatessa ha puntato tutto sul riconoscimento di due principi etici: il diritto di ogni donna alla maternità, quello dell'embrione già fecondato che per legge non può essere soppresso e la volontà del padre che prima di morire aveva dimostrato ancora una volta il desiderio di procreazione. Argomenti che hanno convinto la giudice, Maria Gabriella Perrone (terza donna della storia), ad accogliere il ricorso presentato dalla donna riconoscendo, rafforzandoli, gli stessi principi etici su cui si è battuta la donna. Partendo dal presupposto che i due coniugi erano entrambi in vita al momento della procreazione, la sentenza garantisce «il diritto dell'embrione alla vita» e quindi il divieto della sua soppressione, «l'impossibilità del partner di revocare il proprio consenso», infine «il diritto della donna ad ottenere, sempre, il trasferimento degli embrioni crioconservati».
La sentenza, infine, ordina il centro medico all'impianto intrauterino degli embrioni conservati ricorda l'articolo 8 della stessa legge sulla Pma che riconosce al nascituro lo status di figlio legittimo. In Italia altri due casi simili si sono registrati a Palermo nel 1999 e a Bologna nel 2010. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino