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Notizie riservate sulle indagini in corso, comunicate ai diretti interessati in cambio di denaro, regali, buoni carburante. Una condotta illegale che, oltre ad essergli già costata una condanna penale, adesso costa a un finanziere anche una stangata contabile: dovrà risarcire il Comando generale con 50mila euro, pari al doppio delle tangenti ottenute.
L’ha stabilito la Corte dei conti, che ha ritenuto il militare responsabile di avere provocato un danno all’immagine dell’amministrazione. La Procura gli contestava anche un danno da disservizio che, però, non è stato riconosciuto.
IL PROCESSO
All’epoca il finanziere - che è già stato sottoposto a procedimento disciplinare concluso con la rimozione dei gradi - era in servizio al Comando di Aprilia.
Per finanziare il sistema venivano usati crediti Iva derivati da fatture passive fittizie. In sostanza, le cooperative vivevano il tempo necessario per evadere il fisco. Per l’accusa, il militare avrebbe rivelato «notizie e informazioni sulle verifiche e sui controlli fiscali nel settore tributario», per evitare che «gli illeciti perpetrati dalle società di comodo venissero allo scoperto», viene spiegato nelle motivazioni. Avrebbe quindi ricevuto «denaro, regali e altre utilità» dando in cambio «informazioni sull’attività in corso nei confronti delle cooperative indagate, compiendo atti contrari ai doveri di ufficio». E avrebbe addirittura suggerito «le risposte da fornire in sede di verifiche fiscali». Nello specifico, il finanziere avrebbe ricevuto un cellulare, buoni benzina del valore di 500 euro, dei cesti natalizi e anche la somma di 20mila euro. A incastrarlo, oltre alle dichiarazioni di altri imputati - che lo hanno descritto come uno dei pubblici ufficiali a libro paga del gruppo -, ci sono anche intercettazioni e video effettuati durante servizi di appostamento e pedinamento.
IL LAVORO
La Procura contestava al miliare pure un danno da disservizio da 11.153 euro, pari al 20 per cento delle retribuzioni percepite durante il periodo coperto dalle indagini. Secondo i magistrati, infatti, avrebbe impiegato «energie lavorative per conseguire interessi privati propri e di terzi, al fine di trarne lucro personale». Una circostanza che, secondo il giudice, non è stata provata dalle indagini e dal processo, visto che «le competenze svolte nell’ambito del suo ufficio non gli avrebbero consentito un diretto coinvolgimento nella gestione delle verifiche fiscali delle cooperative, condizionandone gli esiti».
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Il Mattino