Università, Lorito (Federico II): «Contro la fuga di cervelli più sgravi a chi assume»

Il rettore: da sole le borse di studio non bastano

Matteo Lorito
Gli interventi annunciati dalla ministra dell'Università e la Ricerca Anna Maria Bernini sono stati accolti positivamente dagli atenei. Contro la fuga dei cervelli ci...

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Gli interventi annunciati dalla ministra dell'Università e la Ricerca Anna Maria Bernini sono stati accolti positivamente dagli atenei. Contro la fuga dei cervelli ci saranno più borse di dottorato, con il numero maggiore destinato a quelli innovativi cioè finanziati insieme alle imprese, così da essere base solida per una assunzione. Uno sforzo ulteriore sono gli incentivi fiscali per chi assume un dottore di ricerca, ma attualmente è di soli 7.500 euro che per le PMI potrebbe essere troppo poco. Ne abbiamo parlato con il rettore dell'Università degli Studi di Napoli Matteo Lorito.

Rettore Lorito, il piano della ministra Bernini per arginare la fuga di cervelli come le sembra?
«Tutto sommato è quello che ciascuna università può fare. Cioè oltre a formare i ragazzi al meglio perché se vengono assunti all'estero o al Nord, vuol dire che sono stati ben formati le università possono investire in quel settore intermedio dopo la laurea per trattenerli. Fa bene quindi Bernini a indicare una strada con cui poter ridurre la fuga precipitosa dei nostri talenti con una estensione della formazione collegata alle aziende. Alla Federico II lo facciamo già, i dottorati specializzanti da noi sono ben 800 posti, abbiamo dieci Academy e numerosi master in collaborazione con grandi società. Insomma, i nostri laureati hanno la possibilità di migliorare il proprio bagaglio e costruire qui un percorso. Ampliare queste opportunità significa investire sui nostri giovani, impedendogli di vivere quella fase post laurea così piena di ansia».

Questa fase quindi spinge a scappare?


«Con molti sì. Ci sono lauree che in pochi mesi fanno trovare lavoro, per altre ci vuole magari più tempo, ma nei ragazzi si innesca un'ansia che genera una fuga repentina, temono che qui non ci sia nulla per loro».

E il lavoro c'è?
«Ci sarebbe pure, ma ci sono molte difficoltà e in questo caso lo sforzo che andrebbe fatto è un altro: lo sviluppo del territorio. Bisognerebbe incentivare il lavoro al Sud, sia nel settore pubblico che nel privato, con aziende che possono assumere questi laureati specializzati con sgravi fiscali. Certo, quelli di cui parla la ministra Bernini vanno bene per le grandi società. Ma per le PMI il discorso cambia molto. Possono assumere 1-3 laureati, ma se saliamo a 10 viene da sé che sia uno sforzo eccessivo per loro. Anche i settori fanno la differenza: quello meccanico ha solo grandi imprese che possono affrontare il piccolo costo di un dottore di ricerca, ma l'agroalimentare no. Eppure, facendolo, proprio queste ultime creerebbero una spirale positiva cioè il dottore di ricerca spinge all'innovazione e alla crescita dell'azienda».

Come fare allora?
«Adeguare alle aziende gli sgravi fiscali, così come pure ai territori. Cioè la visione deve essere personalizzata. Quindi la proposta di aumentare borse e dottorati è positiva e utile, ma diventerebbe eccellente se accompagnata ad aiutare territori, soprattutto il meridione, a poter assorbire questi ragazzi nel tempo, sostenendo questo circolo virtuoso».

C'è però la questione economica: le borse di dottorato in Italia sono piuttosto basse.
«In Italia abbiamo norme e paletti che impediscono un aumento ma ritengo sia necessario. In Germania la borsa è doppia di quella italiana, quindi il ministero potrebbe agire in questo senso, perché non potremmo mai attrarre un tedesco o un inglese con lo stipendio da phD che offriamo noi, e i nostri ragazzi se lo vincono fuori, fanno bene ad andare via. In questo però noi Atenei possiamo fare la nostra parte insistendo sui benefit, cioè possiamo arricchire la nostra offerta e rendere più appetibile la proposta. I dottorati di ricerca oggi non sono più legati a un desiderio di fare carriera accademica ma uniscono la formazione al mondo del lavoro. Migliori sono le nostre collaborazioni con società, più ragazzi attrarremo».

È stata pubblicata la classifica Censis delle università, la Federico II è sempre decima ma è migliorata molto proprio sulle borse di studio.
«Il diritto allo studio è un campo in cui il nostro ateneo investe tantissimo, dipende da noi e facciamo ogni sforzo. Passare da 85 a 101 è un risultato che ci inorgoglisce. Così come l'Occupabilità, da 81 a 84».

Va però male per Servizi, Strutture e Internazionalizzazione.


«Settori non dipendenti da noi, ma da altri enti. Servizi è il numero di pasti erogati, ma noi non abbiamo una nostra mensa e da 30 anni quello spazio che utilizzavamo è occupato da collettivi; Strutture sono gli studentati, non li avevamo ma con Regione Campania e Adisurc abbiamo investito fondi per averne cinque. L'Internazionalizzazione è poi connessa alle prime due. La voce su cui noi come Federico II dobbiamo migliorare, e lo stiamo facendo, è Comunicazione e Servizi digitali: tra pochi mesi inaugureremo il nuovo portale e ridurremo questo gap». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino