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«Leggevo oggi che un italiano su tre non può pagare le bollette. E che facciamo: stacchiamo la luce a un italiano su tre?». Giorgia Meloni parte dall'emergenza energetica dal palco della Confcommercio. E incassa applausi al pari di Matteo Salvini, altrettanto attento ad accogliere e rilanciare l'allarme delle imprese strozzate dall'impennata delle bollette di gas e luce.
La leader di Fratelli d'Italia come prima misura, se il voto del 25 settembre la porterà a palazzo Chigi, promette (come del resto tenta di fare da tempo Mario Draghi in sede europea) di «scollegare immediatamente il prezzo del gas e dell'elettricità con una norma nazionale, per abbattere subito le bollette» della luce. E «le risorse ci sono, si parla di 3 miliardi da qui a marzo che si possono prendere dall'extra gettito dello Stato ricavato dall'aumento dell'entrate Iva e dagli extra profitti delle compagnie energetiche». E dice sì, Meloni, anche al tetto al prezzo del gas che in Europa è andato a sbattere contro il no di Germania, Olanda e dei Paesi frugali: «È la soluzione migliore. Ma il tetto non si riesce ad averlo perché la famosa Europa che ci è stata raccontata come il luogo della solidarietà, di fronte ai problemi veri è invece un luogo in cui ognuno difende il suo interesse nazionale».
Ebbene senza price cap, secondo Meloni, ha poco senso parlare di scostamento di bilancio come fa Salvini: «Se ci sono altre strade, visto che si farebbe altro debito e ne abbiamo già tanto, è sempre meglio evitarlo.
Meloni promette poi un passo indietro dello Stato rispetto al mondo delle imprese: «Ora lo Stato fa di tutto per metterti i bastoni tra le ruote, ti tratta come suddito e per chi fa impresa in Italia è, come nei videogiochi, il primo mostro che incontri». E qui, la promessa premier, scandisce parole gradite alla platea: «Bisogna eliminare l'obbligo del Pos per professionisti e piccoli commercianti. Come va eliminato il tetto all'uso del contante: due misure inutili nella lotta all'evasione fiscale. Insomma, tafazzismo puro». Segue professione di fede liberista: «Lo Stato non deve rompere le scatole a chi vuole lavorare e fare impresa. Ci vogliono poche regole e libertà di produrre e lavorare».
Poi, dopo aver rilanciato la flat tax del 15% sui redditi incrementali, il taglio del cuneo fiscale del 5%, e un portale per e-commerce («chiamiamolo Amazzone») per i prodotti del made in Italy, Meloni promette «subito» una «super deduzione del 120% del costo del lavoro per chi assume e del 150% per chi dà lavoro ai fragili: donne, over 55, disabili». La conclusione è dedicata alla riforma presidenzialista: «Serve stabilità. Se noi non riusciamo a tenere in sella un governo per cinque anni, signori, questa Nazione non ne uscirà mai». Applausi e saluti.
Anche Salvini, con i sondaggi che vedono la Lega in picchiata superati dai 5Stelle, parte dalla crisi energetica: «Non mi preoccupano i sondaggi, mi preoccupano le bollette». E dice che bisogna fare in fretta, visto che «ci vorranno 50 giorni prima di avere il nuovo governo: rischiano di chiudere 200mila negozi». Dunque «serve lo scostamento di bilancio di almeno 30 miliardi e già oggi si potrebbe approvare. Voglio fare debito? Sì, voglio un Paese vivo». E qui scatta il sospetto: «Chiedo a Letta perché non approvare oggi questo decreto. Cosa glielo impedisce? Chi ce lo vieta? Non vorrei che, chi perde le elezioni, non voglia fare niente per un mese e punti al caos e giocare con i posti di lavoro. Sarebbe da irresponsabili».
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