Giorgia Meloni tra Sud e autonomia: «Sostituiamo il reddito di cittadinanza con misure più efficaci, il futuro del Mezzogiorno dipende dal lavoro»

Giorgia Meloni tra Sud e autonomia: «Sostituiamo il reddito di cittadinanza con misure più efficaci, il futuro del Mezzogiorno dipende dal lavoro»
Presidente Meloni, qui al Sud è assai avvertito il tema dell'autonomia differenziata. Il suo è un partito di chiara identità nazionale: come si sposa...

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Presidente Meloni, qui al Sud è assai avvertito il tema dell'autonomia differenziata. Il suo è un partito di chiara identità nazionale: come si sposa questo progetto, particolarmente sponsorizzato da alcune regioni del Nord, con lo spirito del suo movimento politico?


«Sosteniamo da sempre l'autonomia regionale in un quadro di coesione nazionale e il programma comune del centrodestra ne è l'ultima conferma. È scritto nero su bianco: vogliamo coniugare il presidenzialismo con l'attuazione del percorso avviato per il riconoscimento delle autonomie e i meccanismi di perequazione previsti dalla Costituzione, esattamente per dare risposte ai territori che hanno bisogno di più sostegno. L'autonomia regionale è un valore aggiunto perché consente di responsabilizzare le amministrazioni regionali e di avvicinare il potere decisionale ai cittadini. Ma spetta comunque allo Stato garantire, così dice la Costituzione, i livelli essenziali dei servizi. Se il Mezzogiorno sarà in grado di realizzare gli interventi e colmare il gap non ha niente da temere. In caso contrario lo Stato non potrà abbandonare i cittadini. Noi ci muoviamo esattamente in questa direzione».

A proposito di gap Nord/Sud, basterà il solo Pnrr per colmare i divari o ha in mente altri progetti per il Mezzogiorno? E le modifiche che intende negoziare con la Ue possono minare la prevista allocazione di queste risorse per il 40% al Mezzogiorno?
«Il Pnrr da solo non basterà a colmare il divario tra Nord e Sud. Gli 80 miliardi destinati al Sud sono inferiori a quelli che il Mezzogiorno ha ricevuto nella programmazione 2014-2020 e che oggi ha impiegato solo nella misura del 50 per cento. E la nostra proposta di adeguamento del Pnrr non toccherà affatto la destinazione del 40 per cento al Sud ma consentirà di impiegare al meglio le risorse e nei tempi. Perché le faccio notare che, se noi non adeguiamo le opere pubbliche al caro materiali e non prevediamo un fabbisogno aggiuntivo, questo sì che non consentirà il rispetto del 40 per cento. Noi dobbiamo concentrarci non solo sull'assegnazione delle risorse, su cui abbiamo assistito a battaglie politiche formidabili, ma a verificare la spesa effettiva e il rispetto dei tempi».

In una sua recente visita a Napoli, Matteo Salvini ha annunciato che il centrodestra, una volta al governo, non intenderà toccare il Patto per Napoli. Lei?
«Non abbiamo mai messo in discussione il patto come misura di sostegno ma abbiamo sempre chiarito che il contributo stanziato dallo Stato per risanare le casse comunali, disastrate da decenni di pessima amministrazione del centrosinistra, fosse accompagnato da politiche di crescita. Il risanamento si può raggiungere solo con politiche espansive e investimenti, anche ricorrendo ai fondi del Pnrr. Senza tutto questo, corriamo il rischio che la città continuerà a indebitarsi».

Ci spiega il centrodestra cosa farà, se andrà al governo, con il reddito? A Napoli Berlusconi ha detto persino di volerlo aumentare...
«Guardi, faremo quello che c'è scritto nel programma del centrodestra: sostituzione dell'attuale reddito di cittadinanza con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro. Vogliamo tutelare meglio, e con più risorse, i soggetti privi di reddito effettivamente fragili e impossibilitati a lavorare o difficilmente occupabili e dare invece a chi è in grado di lavorare una formazione di qualità e politiche attive efficaci. Il futuro del Sud non è nell'assistenzialismo di Stato ma nel lavoro e nello sviluppo. E io voglio un Sud libero e non ricattabile».

Come intenderà salvare i tanti posti di lavoro che rischiano di essere perduti anche a causa della crisi energetica?
«Serve un mix di misure. Serve un taglio netto e strutturale del cuneo fiscale e contributivo per mettere più soldi in tasca ai lavoratori, difendere il potere di acquisto delle famiglie e dare fiato al sistema produttivo. Bisogna premiare anche chi crea nuova occupazione con la progressiva introduzione di un meccanismo fiscale basato sul principio chi più assume meno tasse paga. Nell'immediato si può introdurre una super deduzione al 120% del maggior costo del lavoro per nuovi assunti per le imprese che incrementano l'occupazione rispetto agli anni precedenti».

L'Italia riuscirà ad avere una sua autonomia per superare la crisi energetica? E nel giro di quanti anni e con quali interventi?
«Difficile fissare una tempistica ma sul medio e sul lungo periodo bisognerà continuare a percorrere la strada della diversificazione delle fonti di approvvigionamento dall'estero, rilanciare la produzione nazionale e sfruttare appieno le risorse presenti sul nostro territorio, investire in modo strutturale sulle rinnovabili, sburocratizzando le procedure autorizzative e avviando il sistema delle comunità energetiche. Per le sue caratteristiche geografiche, il Sud potrebbe diventare un hub energetico per convogliare le ingenti fonti di approvvigionamento primarie che arrivano dal Nord Africa e dall'Est del Mediterraneo. È un'occasione irripetibile».

La guerra in Ucraina ha determinato pure una crisi dell'export di grano da quel Paese. A pagarne lo scotto è soprattutto il continente africano con prevedibili conseguenze migratorie sul nostro Paese. Lei che decisioni intende prendere?
«Siamo in questa situazione da circa 7 mesi e per fortuna le ondate di profughi alimentari che erano state preannunciate non si sono ancora viste. Molti studiosi dicono che in realtà non siamo in presenza di scarsità di cibo a livello globale, ma di una forte speculazione che restringe l'accesso ai mercati. Tanto che qualcuno si spinge a chiedere di tassare gli extraprofitti delle grandi multinazionali del grano, esattamente come si sta facendo per quelle dell'energia. Intanto lo sblocco dei porti del Mar Nero dovrebbe portare un beneficio immediato. È un tema da porre immediatamente a livello di G7 e G20, anche perché è chiaro che l'Europa non potrebbe farsi carico di ulteriori masse di profughi».

Sicurezza e criminalità organizzata sono due temi assai avvertiti a Napoli: se il centrodestra vincesse le elezioni che ricette proporrebbe?
«Napoli sta pagando sulla sua pelle anni di lassismo e di menefreghismo della sinistra, per la quale la sicurezza è qualcosa di destra e che non merita attenzione. Questo ha favorito un'illegalità diffusa e pervasiva che sottrae spazi vitali alla città e ai cittadini onesti e perbene. È arrivato il tempo che lo Stato si faccia sentire con forza e determinazione. Bisogna incrementare risorse e dotazioni delle Forze dell'Ordine, potenziare l'operazione Strade sicure, aumentare la videosorveglianza e riqualificare le periferie, soprattutto quelle più degradate. E va incentivata l'apertura di attività nelle zone più difficili perché ogni luce accesa e ogni saracinesca alzata sono presidi di legalità».

Quali sono i tre punti prioritari che vuole realizzare nei primi cento giorni di governo se riuscirà a salire a Palazzo Chigi?
«La priorità è mettere al riparo famiglie e imprese dal caro bollette. La misura più efficace è, certamente, un tetto europeo al prezzo del gas. Ma l'altro intervento da fare è il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell'energia prodotta con altre fonti. Questo, se la fa l'Europa, ha sicuramente un impatto più importante ma si può determinare anche a livello nazionale. E secondo i nostri calcoli avrebbe bisogno di una copertura di tre o quattro miliardi di euro. L'altra urgenza è il lavoro e il sostegno al tessuto produttivo. E poi la famiglia, che deve tornare centrale nell'agenda del governo della Nazione».

Il fenomeno dell'astensione soprattutto al Sud è molto forte. Come pensa che si possa riportare al voto una fetta così consistente di elettori sfiduciati?
«Spiegando alle persone che non tutti i politici sono uguali e che non è vero che, qualunque partito si voti, non cambierà mai niente. Il declino del Sud non è un destino ineluttabile. Si può scrivere un futuro diverso, e bastano cinque minuti nella cabina elettorale per sceglierlo».

Il presidenzialismo è la strada maestra da percorrere per un nuovo assetto istituzionale più moderno ed efficiente?
«Sì, perché permetterebbe di rimettere al centro la volontà popolare e di garantire anche maggiore autorevolezza all'Italia sul piano internazionale».

Lei potrebbe diventare la prima donna premier del nostro Paese. Quanta strada c'è ancora da fare per una effettiva parità dei diritti, in politica come nel lavoro e in generale nella società italiana?


«C'è ancora molto lavoro da fare, ma credo che avere un presidente del Consiglio donna permetterebbe di rompere quella barriera invisibile che oggi impedisce l'affermazione delle donne ad ogni livello. Sarebbe una svolta storica. E l'Italia è pronta».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino