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Giovanni Buccoliero, 61 anni a novembre, è morto stroncato da un collasso cardiaco svolgendo il suo lavoro all'ospedale "Giannuzzi" di Manduria (Taranto), dove era primario facente funzioni del reparto di Medicina. Secondo quanto riportato dai suoi colleghi il giorno prima il medico aveva lavorato ventiquattro ore di fila, 12 al pronto soccorso sotto organico e altre 12 nel proprio reparto.
I colleghi: ha lavorato 24 ore di fila
«Siamo sotto organico e Giovanni, come tanti di noi, faceva anche da tappabuchi - le parole dei colleghi rilasciate al Corriere della Sera - martedì sera arrivando in ospedale, ha lavorato dodici ore al pronto soccorso. Poi, dalle 8 del mattino successivo, altre dodici in reparto rientrando a casa solo mercoledì sera. Giovedì mattina era poi regolarmente in reparto a fare le visite ed è morto praticamente in corsia».
Ordine dei medici: stress lavoro inaccettabili
«Vicinanza, da parte del Comitato Centrale Fnomceo e di tutti i presidenti d'Ordine, riuniti oggi in Consiglio Nazionale, alla famiglia del collega Giovanni Buccoliero, morto improvvisamente ieri mentre stava visitando i pazienti nell'ospedale Giannuzzi di Manduria.
Le accuse
È stata avanzata l'ipotesi secondo la quale la morte del medico possa essere collegata allo stress correlato al lavoro. «Abbiamo più volte evidenziato - ha aggiunto Anelli - il grave disagio dei medici, sottoposti a superlavoro, a turni infiniti, senza possibilità di fruire dei riposi previsti dalla legge, o delle ferie. Abbiamo sollevato quella che abbiamo definito la "Questione medica", la abbiamo posta al ministro della Salute Roberto Speranza e al Presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, in una Conferenza dedicata. L'errata programmazione delle Regioni, unitamente al blocco delle assunzioni legato al tetto di spesa del fondo per il personale, fermo al 2004, ha determinato una drammatica carenza di personale. È inaccettabile che siano gli operatori sanitari a scontare questi errori con la salute e, persino, con la vita». La sicurezza sul lavoro, conclude Anelli, «è, per tutti, un diritto costituzionalmente tutelato. Per i medici, deve esserlo a maggior ragione, perché è presupposto della sicurezza delle cure. Laddove le carenze di personale sono gravi, è meglio chiudere l'ospedale e concentrare i professionisti nelle altre strutture, piuttosto che assistere a conseguenze drammatiche»
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