Tra flat tax alle aziende, pensioni e reddito di cittadinanza si riapre in manovra anche il cantiere su un possibile taglio dell'Irpef. E la cosa finisce per acuire non poco...
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Contemporaneamente la bassa qualità dei servizi finisce per penalizzare i cittadini meridionali sul versante delle addizionali regionali e comunali. Dopo Lazio e Piemonte sono cinque i territori del Sud (Campania, Molise, Abruzzo, Sicilia, Calabria) quelli soggetti ad aliquote più alte nel Paese. La Campania poi, con 909.314 euro, è la terza regione a livello nazionale e la prima del Sud. Soffermandosi soltanto in ambito comunale, dopo Roma con lo 0,86%, svettano Foggia, Messina, Palermo e Reggio Calabria con un'aliquota aggiuntiva dello 0,79%. La bassa attività economica, poi, ha effetti anche sul gettito Irap, l'imposta più legata ai redditi d'impresa: il Mezzogiorno versa 3,6 miliardi contro i 10,8 del Nord e gli 8,8 del centro.
Intanto si riapre in manovra il dossier su un possibile taglio dell'Irpef. Molto probabilmente non si andrà oltre un taglio simbolico di un punto del primo scaglione, quello al 23% che scenderebbe al 22 e copre i redditi sopra la no tax area e i 15mila euro. Un intervento dai costi contenuti (tra gli due e i tre miliardi di euro), ma che riguarderebbe 17 milioni di contribuenti. Non poco con le Europee alle porte. Eppure nella giornata di ieri è circolato nei Palazzi della politica un rumors, che andava in direzione opposta. Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, starebbe studiando un piano più ambizioso per ridurre la tassazione sui redditi personali, dopo quella per le imprese. L'idea, non nuova, sarebbe quella di accorpare le aliquote mediane - quelle al 27% al 38% che coprono i guadagni tra i 28mila e i 55mila euro - magari con un prelievo tra il 33 e il 35%. L'intervento sarebbe destinato al ceto medio, a circa 7 milioni di persone, ma avrebbe un costo molto alto, oltre sei miliardi di euro. Soldi che via XX settembre vorrebbe recuperare tagliando il bonus degli 80 euro e alzando in maniera selettiva l'Iva per alcuni prodotti (si parla per esempio di portare al tetto massimo le utenze e di un ulteriore aggravo per i beni di lusso).
Prima durante un question time in Senato e poi ospite della festa per i 140 anni del Messaggero, lo stesso Tria ha smentito interventi sull'Iva: «Lo abbiamo detto dal primo discorso in Parlamento che bloccheremo l'aumento». Sempre a Palazzo Madama ha soltanto sfiorato l'aspetto fiscale ricordando che «parlare di pace fiscale non significa varare un nuovo condono». Per poi ricordare alla sua maggioranza che «la graduale realizzazione degli interventi di politica economica» va «compatibilmente con le esigenze di mantenere l'equilibrio dei saldi strutturali di finanza pubblica».
Eppure soltanto le voci di un piano più ampio sull'Irpef e quello di un ritocco più sull'Iva ha finito per acuire le distanze tra la Lega e Tria. In serata è arrivata una nota del Carroccio, che dopo un vertice degli esperti economici con Matteo Salvini, ha ricordato che l'imposta sui consumi non si tocca e sul fisco non si va oltre «la flat tax sulle aziende al 15%, che vale per i regimi dei minimi fino a 65 mila euro e poi per tutto il sistema imprese Ires al 15 in caso di reinvestimento, assunzioni e aumenti di capitale».
Spiegano dal Tesoro: «Nel Carroccio, da un lato, non piace l'idea di sprecare soldi su tagli minimali sull'Irpef, preferendo destinare tutte le risorse alla flat tax per i redditi personali da far scattare l'anno prossimo. Dall'altro, hanno il sentore che il ministro sia più sensibile alle proposte dei Cinquestelle. I grillini sarebbero favorevoli a una riduzione sulla prima aliquota. In realtà Tria ha soltanto presentato in queste settimane una serie di proposte alla maggioranza. In quest'ottica vanno lette taglio all'Irpef o le rimodulazioni sull'Iva. Ma sono soltanto proposte, perché una decisione finale si prenderà soltanto quando l'Europa avrà chiarito quanto nuova flessibilità intende concederci». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino