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Giuseppe Ragusi, 30 anni, napoletano - collaboratore di molte associazioni sul territorio per progetti destinati alle comunità locali, attivista di Legambiente - è una delle 923 persone che nel nostro Paese hanno accettato di partecipare, da volontari, alla sperimentazione condotta in 24 centri clinici di tutte le regioni (Campania compresa che con il Cotugno è capofila) per la validazione del vaccino tutto italiano messo a punto da Reithera. Parliamo dell’azienda biotech che ha sede presso il Tecnopolo di Pomezia in cui peraltro batte un cuore napoletano (il grosso dei ricercatori sono infatti del Ceinge e della Federico II) ereditato dalla originaria start-up Okairos. Ragusi suo malgrado è finito in un limbo in cui, da vaccinato, non può accedere né al Green pass obbligatorio in Italia dal 6 agosto (in quanto il vaccino non è ancora autorizzato e riconosciuto) né procedere a un nuovo ciclo di immunizzazione con un altro farmaco controindicato dal punto di vista clinico.
Poco importa che la sperimentazione di fase 2 del vaccino di Reithera (condotta insieme allo Spallanzani di Roma e relativa ad efficacia e sicurezza) abbia ricevuto il parere positivo per proseguire con la fase 3 (che prelude all’utilizzo sul mercato), da parte di importanti agenzie regolatorie internazionali, inclusa l’Ema che governa questo settore in Europa.
La parte preliminare dello studio, a cui ha partecipato Giuseppe Ragusa, era randomizzata e a doppio cieco, ossia metà dei volontari hanno avuto inoculato il vaccino (in singola o in doppia dose) e l’altro 50 per cento un placebo (niente farmaco) senza che nessuno sapesse in partenza in quale gruppo fosse stato arruolato. Ora il trentenne napoletano ha saputo di avere avuto le due dosi: il farmaco, al pari degli altri vaccini a vettore virale (come Astra Zeneca e Johnson & Johnson per intenderci) è efficace, ha sviluppato pertanto l’immunità, ha gli anticorpi e la memoria immunitaria ma questo traguardo lo tutela dal virus ma lo colloca in un spazio di mezzo dal punto di vista amministrativo.
Un paradosso che lo ha spinto a denunciare il suo disappunto con un post su Facebook che ha incassato centinaia di like: «Ho scoperto che dal 6 agosto sarà obbligatorio il Green-pass per avere la possibilità di viaggiare, di consumare seduto ai bar e ristoranti e di compiere dei gesti quotidiani - avverte il giovane napoletano - ma io non posso avere questa certificazione.
Ragusi si è vaccinato al Cotugno. Il responsabile della sperimentazione a Napoli, che con Caserta è coinvolto nello studio nazionale, è Rodolfo Punzi, direttore del dipartimento di malattie infettive: «A mancare - spiega - è l’ultimo tratto più oneroso della ricerca che prevede l’arruolamento di decine di migliaia di persone. La tecnologia del farmaco è valida ma risente forse delle perplessità sui vaccini a virus vettore. A Napoli sulle 923 persone sane reclutate in Italia ne abbiamo selezionate 83, il numero più alto. Sia a Napoli sia in altri centri non sono stati registrati eventi avversi significativi. Al massimo febbre e dolori articolari o cefalea. Per contro è stata rilevata un’ottima immunogenicità e protezione dall’infezione anche contro le varianti. Nel 93 per cento dei casi dopo la prima dose e nel 99 per cento dopo i richiami con lo sviluppo di una memoria immunitaria, anche cellulare, molto robusta. Tutti i volontari sono contenti ma c’è questo inconveniente del green pass che non viene rilasciato nonostante le certificazioni dell’ospedale e le prove sierologie che garantiscono l’immunità all’infezione». L’ultima novità è che la sperimentazione su larga scala, in attesa che arrivino i 50 milioni destinati da Invitalia - potrebbe essere effettuato in Messico che avrebbe dato il disco verde all’azienda italiana.
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