Guerra il Ucraina, il vescovo di Leopoli: «È un genocidio, l'obiettivo è annientare il popolo»

Guerra il Ucraina, il vescovo di Leopoli: «È un genocidio, l'obiettivo è annientare il popolo»
«È un genocidio, non una guerra militare. C'è un aggressore che non vuole solo guadagnare territori, ma annientare una Nazione, calpestare la democrazia,...

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«È un genocidio, non una guerra militare. C'è un aggressore che non vuole solo guadagnare territori, ma annientare una Nazione, calpestare la democrazia, azzerare i diritti e la dignità di un popolo e di ogni singola persona». Sessantun anni, polacco di Majdan Lukawieki, sud-est del Paese, Mieczyslaw Mokrzycki è da 14 anni arcivescovo metropolita della chiesa Latina di Leopoli, ripristinata da Giovanni Paolo II nel 1991, dopo essere stata soppressa negli anni del regime comunista, quando il vescovo era costretto a risiedere a Lubaczow, in Polonia. Da Leopoli, la Parigi dell'est, 30 chilometri dal confine polacco, la guerra è soprattutto un immenso campo profughi. La caduta di tre missili, sabato scorso, su una fabbrica di velivoli nei pressi dell'aeroporto non ha mutato uno scenario che potrebbe definirsi di retrovia, fuori dall'epicentro di un conflitto che nell'aera orientale è sempre più spietato e senza quartiere.

Ma si può parlare di una guerra vista da lontano?
«Tutt'altro. Da qui si vede anzi ancora più chiaro come questa sia una guerra di annientamento e di sopraffazione. Da Leopoli vediamo fuggire, disperdersi e in parte scomparire una nazione che da un giorno all'altro si è vista aggredita alle spalle, bombardata senza requie, e alla quale sono state sbarrate perfino le vie di fuga. È stato questo, oltre alla sua posizione geografica, a fare di Leopoli il grande porto dell'accoglienza di una guerra che Papa Francesco ha definito giustamente ripugnante».

La Polonia, la sua terra, è a due passi. Milioni di profughi hanno fatto sosta almeno per uno o due giorni, a Leopoli. È un flusso che continua e s'ingrossa fino a deformare, ad ogni angolo, tratti di una città straordinariamente ricca di vita e di cultura. Ora il volto è un altro: tende e accampamenti di fortuna, mense all'aperto, la fila di pullman e furgoni pronti per le migliaia di viaggi della speranza in Polonia, ma non solo. Germania, Slovacchia, Ungheria, Australia: la geografia della sopravvivenza è una macchia sempre più estesa oltre i confini dei campi di battaglia.
«Molti restano anche qui. La speranza di restare fuori dall'epicentro degli scontri è forte. Questo significa che la nostra assistenza va diversificata, come in effetti è avvenuto finora. Non siamo certo soli e con le nostre forze avremmo potuto fare ben poco. Ma siamo stati investiti da una solidarietà davvero senza limiti. Anche in questo il Papa, e la chiesa italiana sono stati in prima linea, come pure gli organismi di assistenza civili. È una solidarietà che ci ha messo alla prova, nel senso che abbiamo dovuto ripensare tutto il nostro territorio e alle nostre strutture - finanche le chiese, oltre ai conventi e ai tanti istituti religiosi- come a un solo grande campo di accoglienza per alleviare i disagi di chi si lasciava alle spalle terrore e morte, ma anche il calore di una casa e delle famiglie. Anche qui la maggioranza dei rifugiati è costituita da donne e bambini. E proprio qui abbiamo visto, più che altrove, i tanti dolorosi addii di padri che lasciavano moglie e figli per raggiungere il fronte di guerra».

Guardare a Roma e prima di tutto al Papa per l'arcivescovo di Leopoli, è più che naturale. Per molti anni, fino alla morte di Giovanni Paolo nel 2005, ha affiancato mons. Stanislaw Dziwiz, nella Segreteria papale. Per altri due anni, don Mietek, (come in Vaticano era conosciuto da tutti) ha conservato lo stesso incarico anche con Benedetto XVI. Ma guardare al Papa, oggi per don Mietek che è spesso per le strade a dare una mano ai soccorritori e ai volontari, significa ancora qualcosa in più.
«Non finiremo mai abbastanza di ringraziare Papa Francesco per il suo aiuto e il suo sostegno. Ma soprattutto per ciò che avverrà oggi, e che da San Pietro si diffonderà nel mondo, l'Atto di consacrazione e affidamento al cuore Immacolato a Maria dell'umanità intera e in particolare della Russia e dell'Ucraina. È qualcosa di fondamentale per tutti noi. Noi crediamo, più che mai, nella potenza e nell'efficacia della preghiera. La guerra si sconfigge anche a mani giunte. Come tocchiamo con mano l'invadenza del male, dobbiamo credere, tanto più in questi momenti, anche al miracolo di una pacificazione immediata e di una conversione dei cuori che faccia cambiare il corso di una storia per ora tragica e senza vie d'uscita. Il male non dorme ripeteva spesso Giovanni Paolo II, il Papa del Mai più la guerra».

Quel grido pronunciato contro il conflitto in Iraq è diventato oggi anche l'eco finora inascoltato di questa guerra nel cuore dell'Europa e in una terra di antiche e salde radici cristiane.
«È per questo che la preghiera e questo specialissimo atto del Papa sono viste come l'aiuto più concreto per riconquistare una pace che agli uomini continua a sfuggire di mano. Alzare gli occhi al cielo aiuta anche a vincere i limiti delle nostre chiese, le difficoltà di un dialogo che continua a incontrare ostacoli. Il conforto, ma anche la speranza, viene dal fatto che oggi, come nella nostra cattedrale di Leopoli, molti fratelli ortodossi si uniranno in preghiera con noi».


Per chi lo conosce, la devozione mariana è uno dei segni forti del sacerdozio di don Mietek. L'estate scorsa, insieme a un gruppo di preti diocesani, è stato in visita al Santuario di Pompei. Nella Basilica del Santuario nazionale di Nostra Signora di Berdyczow, aveva accolto un pellegrinaggio della città campana, guidato dall'arcivescovo Tommaso Caputo. Motivo: la popolarità in Ucraina della Supplica alla Vergine, la preghiera composta dal Beato Bartolo Longo.
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Il Mattino