I danni a lungo termine del Covid: al via una ricerca clinica di Università Federico II e Azienda dei colli

I danni a lungo termine del Covid: al via una ricerca clinica di Università Federico II e Azienda dei colli
Coordinare le unità operative Covid di tutte le province campane che hanno trattato (e continuano a farlo) pazienti affetti da Coronavirus, mettere insieme i dati di...

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Coordinare le unità operative Covid di tutte le province campane che hanno trattato (e continuano a farlo) pazienti affetti da Coronavirus, mettere insieme i dati di laboratorio, radiologici e tutte le conoscenze cliniche maturate al letto di pazienti che hanno contratto l'infezione, vagliare e studiare ogni singolo caso e seguire nel tempo lo stato di salute dei pazienti guariti dall'infezione con particolare riguardo alla salute dell'apparato cardiorespiratorio. Sono questi gli obiettivi di un progetto di ricerca nato dalla collaborazione tra Università 


Federico II ed Azienda dei colli ove è stato ed è tuttora ricoverato il numero più elevato di pazienti in Campania. 
Al lavoro ci sono la cattedra di Malattie respiratorie diretta da Alessandro Sanduzzi Zamparelli di stanza al Monaldi in collaborazione con la docente Marialuisa Bocchino, che ha curato la messa a punto dei contenuti dello studio, la cattedra di Statistica che vede coinvolto Dario Bruzzese e Domenico Vistocco, docenti universitari che hanno curato la creazione del database, con il dipartimento di Danità pubblica guidato da Maria Triassi che è anche presidente della scuola di Medicina per la cura degli aspetti epidemiologici. 
"La finalità della ricerca - spiega Sanduzzi Zamparelli - è quella di seguire i pazienti Covid dopo la  guarigione, negli ambulatori attivati in tutti gli ospedali campani in modo da rendere uniformi i protocolli di indagine e di cure cercando di estrapolare con rigore scientifico i dati comuni nel cosiddetto post Covid. L'obiettivo è utilizzare le stesse modalità di approfondimenti, effettuare controlli con la stessa tempistica e gli stessi strumenti diagnostici in modo tale da ottenere sia una raccolta dati imponente che consenta di conoscere meglio gli elementi comuni e dunque accendere i fari su una patologia ancora in parte misteriosa, producendo dati scientifici di rilievo". Un progetto di ricerca clinica dunque che mira anche a un precoce screening sulle possibili conseguenze dell'infezione per prevenire e intercettare sul nascere segni di esiti fibrotici polmonari che verosimilmente rappresentano il principale postino dell'infezione". 

Sugli effetti a breve e lungo termine del Covid-19 derivate dalla pandemia da Sars-Cov-2 di recente ha acceso i riflettori anche una tavola rotonda promossa su scala nazionale in webinar da Motore Sanità. Il virus non aggredisce solo i polmoni con una polmonite interstiziale che lesiona seriamente gli alveoli e trombizza i piccoli vasi conducendo ad  una insufficienza respiratoria talora mortale ma attacca anche molti altri organi causando alcuni effetti che probabilmente permangono a lungo e con conseguenze importanti.
Recentemente una pubblicazione della Rockfeller University riporta l’individuazione dei pazienti “long-haulers”, cioè persone che dopo una infezione iniziale spesso moderata e curata a domicilio, non riescono a guarire e rimangono incapacitati perché non respirano adeguatamente e presentano una serie di altri sintomi cronici come costanti dolori al petto e al cuore, sintomi intestinali, mal di testa, incapacità a concentrarsi, perdita di memoria, tachicardia anche al solo passaggio da sdraiati a seduti. Ma anche debolezza neuromuscolare, fatica, mancanza di respiro soprattutto sotto sforzo, tosse e moltissima debolezza. Altre alterazioni vanno dalla riduzione dell’olfatto e dei gusti e disturbi del sonno. Inoltre, ci sono probabilità che vadano incontro a stroke più o meno gravi o ad attacco ischemico transitorio nell’immediato ma anche nel medio-periodo legati all’alterazione della coagulazione. Questo è il quadro presentato durante il webinar “Organopatia da Covid-19. Diagnosi, terapia e follow up” organizzato da  Motore Sanità.

I dati parlano chiaro: tra 1/5 e 1/10 dei pazienti soffrono di sintomi che durano più di un mese, mentre in un paziente su 45 (2,2%) perdurano per più di 3 mesi. Attualmente nel mondo sono segnalate circa 4 milioni di persone con sequele e malattia con sequele croniche. Sono colpiti sia pazienti che hanno avuto una infezione grave sia lieve o moderata. Una parte di questi pazienti hanno una permanenza del virus annidata in alcuni organi che determina una pioggia citochinica continua con stato infiammatorio e, se si giunge ad immunodepressione, anche alla riattivazione della malattia con aggravamento importante.
Cuore, cervello, apparato gastrointestinale, rene sono gli organi colpiti con conseguenze talora pesanti, da cui l’importanza di una consapevolezza clinica delle patologie derivanti, a partire dalla loro diagnosi, terapia e soprattutto follow up come organizzato da alcune Regioni al fine di capire l’importanza e la varietà dei residui post Covid nei cittadini contagiati.
Situazioni in cui alcuni farmaci antinfiammatori che modulano gli effetti della tempesta citochimica potrebbero avere influenza anche su manifestazioni croniche. “La somministrazione del Baricitinib, medicinale già impiegato per la cura dell’artrite reumatoide, e usato in modo “off-label sui 20 pazienti affetti dalle forme più gravi di Covid-19, ha mostrato in 7 giorni di somministrazione una marcata riduzione dei livelli sierici delle citochine infiammatorie mentre i linfociti T e B circolanti ritornano alla norma e il titolo anticorpale contro il virus si alza – ha spiegato  Vincenzo Bronte, Direttore Immunologia AOUI Verona – in altri termini, il farmaco ripristina la capacità difensiva del sistema immunitario danneggiata dal Covid. I risultati sono stati confermati da uno studio clinico statunitense che ha visto la somministrazione del Baricitinib in combinazione con il Remdesivir su una popolazione di 1.000 pazienti con polmonite da Covid-19”.

Secondo una analisi condotta dalla Pneumologia dell’Ospedale di Cremona, a 5-6 mesi dalla dimissione, su circa 400 pazienti già ricontrollati, la più frequente sintomatologia riferita è astenia, affaticabilità, dolori diffusi, dispnea inspiratoria a riposo, senso di costrizione toracica, alterazione del sonno, ansia e paura. Il 90% della sintomatologia è legata a problema ansioso e a stress. Anche gli operatori sanitari riportano gravi conseguenze.
Quello che già si sta osservando negli ambulatori attivi sul follow-up è una recidiva dei pazienti che hanno una sindrome dell’intestino irritabile, che hanno avuto un’infezione da Covid, l’elemento trigger che riaccende i sintomi funzionali. “Ci sono dei pazienti che non hanno mai avuto sintomi funzionali, hanno fatto l’infezione da Covid e sviluppano una sindrome tipica della sindrome dell’intestino irritabile, e non è una cosa nuova – ha ammesso Franco Radaelli, Direttore UOC Gastroenterologia Ospedale Valduce di Como - sappiamo che dopo una infezione del tratto gastroenterico circa un 10% dei pazienti sviluppa una sindrome dell’intestino irritabile post-infettiva. Il danno citopatico diretto del virus dà un’alterazione della permeabilità intestinale che dà una attivazione del sistema immunitario enterico che porta un’alterata motilità, una iperalgesia viscerale, a una disbiosi intestinale (i tre meccanismi fisiopatologici principali dei disturbi funzionali dell’apparato gastroenterico). Inoltre, la sindrome post Covid è caratterizzata da un’alterazione dello stato psichico (ansia, depressione), che nel doppio legame che c’è nell’asse cervello-intestino influenza negativamente la percezione di tutti i sintomi gastrointestinali. Ci aspetteremo nel prossimo futuro proprio un aumento dei pazienti nelle cliniche dei disturbi funzionali che hanno avuto infezione da Covid”. Infine emerge una relazione importante tra le malattie cardiovascolari e il Covid. “Sia perché che le malattie cardiovascolari preesistenti, in qualche modo, influenzano la prognosi e la  storia clinica del paziente Covid, sia perché il Covid di per sé determina malattie cardiovascolari – ha spiegato Claudio Bilato, Direttore UO Cardiologia Ospedale “Cazzavillan” Arzignano -. Sicuramente c’è una persistenza di sintomi post Covid che sembrerebbe non riguardare almeno in gran parte la patologia cardiovascolare, ma sicuramente i danni miocardici e polmonari accusati durante l’infezione da Covid possono determinare delle sequele importanti non solo in termini di scompenso ma, per esempio, se si pensa ad una fibrosi polmonare, può determinare una ipertensione polmonare cronica, malattia che sicuramente oltre a rappresentare una prognosi compromessa peggiora anche drasticamente la qualità di vita”.


Ora anche in Campania parte uno studio approfondito e sistematizzato sulle sequele che il Covid porta con sé dopo la guarigione.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino