«Il generale cordoglio era presente tra la folla che assisteva ai funerali». Questa era la formula che, fino agli anni ’30, ricorreva, retorica e banale, in...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Ieri però, ad Amatrice, si è visto qualcosa di diverso; l’immagine di Mattarella e di Renzi di Boldrini e di Grasso in mezzo alla gente, a parlare con la gente, era un’immagine di autentica condoglianza, nel suo senso più primitivo: con dolere, soffrire con gli altri. «Questo è il momento delle lacrime» aveva detto il presidente del Consiglio arrivando ad Amatrice all’indomani del sisma; una frase coraggiosa perché lontana da ogni spavalderia e da ogni polemica, una frase coraggiosa perché accetta la fragilità dello Stato, una frase coraggiosa perché, con umiltà, riconosce il dolore come collante della nazione.
Quando perdiamo una persona cara abbiamo bisogno di non sentirci soli di fronte alla sofferenza e a questo servono le condoglianze, a marcare l’accento su quel prefisso «con» che sconfigge la solitudine. Gli abitanti dei luoghi colpiti dal terremoto hanno chiesto una sola cosa allo Stato, hanno chiesto di non essere lasciati soli e la condivisione del dolore il primo passo che l’Italia deve fare per sconfiggere quella solitudine. Essere presidente della Repubblica o presidente del Consiglio significa anche questo, significa anche essere rappresentanti di un dolore collettivo, essere la personificazione di un sentimento generale. Sembra scontato, ma non lo è, non è facile dismettere la divisa del Generale Cordoglio e rappresentare lo Stato con tutta l’umanità che ci vuole; non è facile, ma quando questa magia avviene, il Paese, anche un Paese solcato da mille fratture come l’Italia, ritrova unità.
Per ritrovare una situazione simile, vado con la memoria a Pertini, al Pertini che richiama lo Stato alle sue responsabilità dopo il terremoto dell’Irpina, ma soprattutto al Pertini che, il 12 giugno del 1981, si reca a Vermicino per rendere fisicamente presenti tutti gli italiani intorno al pozzo dove si sta lottando per la vita del piccolo Alfredino Rampi. Pertini vicino a quel pozzo artesiano era lo Stato quando dimentica per un attimo le sue funzioni di comando, di coercizione, di regolazione e ritrova la sua natura di comunità che respira allo stesso ritmo di un singolo individuo in difficoltà.
Ieri, ad Amatrice, la presenza delle massime cariche è riuscita ad avere lo stesso significato e in questo dobbiamo riconoscere il merito di Sergio Mattarella e di Matteo Renzi. Ma il terremoto dell’Italia centrale ha davvero ricucito le ferite di questo Paese? No, non illudiamoci. Ma, al tempo stesso, non minimizziamo la portata di quanto è avvenuto, non dimentichiamo l’inedita efficienza della macchina dei soccorsi e non dimentichiamo quel patto che Mattarella e Renzi ieri hanno siglato con gli abitanti di Amatrice, non dimentichiamoci che loro lo hanno firmato a nome nostro, di tutti gli italiani. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino