ROMA Dopo le lacrime e l'annuncio: «Ho perso io, mi dimetto». Dopo la lunga notte, luci di palazzo Chigi accese fino all'alba e la voglia di mollare tutto, Pd...
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A spingere Renzi a frenare la sua irruenza sono stati gli amici di sempre. I vari Luca Lotti e Graziano Delrio, Francesco Bonifazi e Matteo Richetti, David Ermini e Lorenzo Guerini. Tra colloqui diretti ed sms, il Giglio Magico per prima cosa ha smontato l'idea di abbandonare il Pd o di dimettersi da segretario. Perché l'ossatura e l'intelaiatura del partito serve, eccome, in vista delle elezioni. Perché come dimostra il referendum, è essenziale lo zoccolo duro rappresentato da Emilia Romagna e Toscana, dove ha vinto il Sì. Ma anche da Marche, Umbria, Piemonte e Lombardia, dove i sostenitori della riforma hanno strappato percentuali decisamente più alte rispetto al resto del Paese. «E se lasci il partito, quelle Regioni le regali alla Ditta che, a ben guardare secondo gli analisti, vale più o meno l'8% dei nostri elettori...».
Dunque, come dice Lotti, «ripartiamo dal 40% di ieri». Un quaranta per cento che tradotto significa circa 13 milioni: oltre due milioni di consensi in più rispetto al massimo storico fatto registrare alle europee del 2014, quando Renzi incassò il 40,8%. E se Massimo D'Alema sostiene che «questo ragionamento è una follia, i voti del referendum non sono voti suoi», non la pensa allo stesso modo il premier dimissionario. Ritrovata un po' di baldanza, Renzi è andato ad analizzare i flussi, per scoprire che il Sì è stato scelto soprattutto dalla classe media e alta o con un buon grado di istruzione: imprenditori e artigiani, insegnanti e dirigenti. Si sarebbe insomma coagulato quel corpo sociale in grado di dare sostanza al fantomatico Partito della Nazione: pragmatico, progressista, riformista ma anche moderato.
Sicuramente de-ideologizzato. E Renzi intende andare alle elezioni «il prima possibile» forte proprio del sostegno di questo blocco sociale «da allargare comunque quanto possibile...». «Tanto più che mentre i leader del fronte del No si devono dividere tra loro un 60%, Matteo è l'unico ad avere in dote un 40% tutto suo. O quasi, visto che c'è anche Alfano», dice un renziano di alto rango. Per prima cosa, però, il segretario vuole mettere «le cose a posto nel partito». Così nella Direzione convocata per domani pomeriggio, Renzi potrebbe annunciare il congresso a metà febbraio. Con due obiettivi.
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Il Mattino