L'allarme rosso è scattato verso le 11 quando l'ala dura di Fi spinge per l'ultimo strappo, l'abbandono dell'Aula alla quarta votazione, e dentro Ncd chi...
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Renzi si fida della compattezza del Pd al punto che, nella riunione con i vicesegretari ed i capigruppo, decide che non ci sarà domani un ordine di scuderia per segnare le schede dei dem e tenere sotto controllo ogni grande elettore. «Non sarebbe un bel segnale», ha spiegato il segretario stoppando l'ipotesi avanzata da Matteo Orfini. Ma davanti alla marea montante dei pasdaran azzurri e di un Ncd spaccato in due come una mela, Renzi ha fatto partire l'artiglieria pesante. Il fedelissimo Ernesto Carbone spara contro «le mire di Lupi che per fare il sindaco di Milano sta influenzando il povero Alfano».
Nel pomeriggio il premier in persona arriva alla Camera per un vertice con Alfano, Pier Ferdinando Casini, lo stato maggiore del Pd e il sottosegretario Marco Minniti. «Così non possiamo andare avanti, devi scegliere da che parte vuoi stare», avrebbe detto il leader Pd in un confronto accesso nel quale, si racconta, avrebbe minacciato di far dimettere già da domani sera i sottosegretari Ncd. Ma è proprio l'incoerenza di Alfano, nel doppio ruolo di ministro degli Interni e di oppositore di Mattarella, ad irritare Renzi. Il capo del Viminale, a quanto si apprende, avrebbe accusato il premier di aver chiesto un metodo condiviso per il Colle senza diktat nè veti ma poi di aver scelto da solo privilegiando solo l'unità del suo partito.
L'incontro finisce male e Alfano, uscito dalla sala del governo, viene riavvicinato poco dopo da Luca Lotti.
Il Mattino